Milano Fashion Week, la storia di un fenomeno che ha cambiato la cultura italiana
La Milano Fashion Week (MFW) non rappresenta solo il celebre calendario di sfilate, piuttosto un dispositivo culturale che racconta chi siamo
Milano Fashion Week, la storia di un fenomeno che ha cambiato la cultura italiana
La Milano Fashion Week (MFW) non rappresenta solo il celebre calendario di sfilate, piuttosto un dispositivo culturale che racconta chi siamo
Milano Fashion Week, la storia di un fenomeno che ha cambiato la cultura italiana
La Milano Fashion Week (MFW) non rappresenta solo il celebre calendario di sfilate, piuttosto un dispositivo culturale che racconta chi siamo
La Milano Fashion Week (MFW) non rappresenta solo il celebre calendario di sfilate, piuttosto un dispositivo culturale che racconta chi siamo, come siamo cambiati ed in che modo, ancora oggi, identificano nel mondo noi italiani. È un evento che riguarda certo il settore della moda, ma pure economia, società, politica e identità in senso più variegato.
La storia della MFW è più lunga di quanto si pensi e affonda le radici in figure pionieristiche spesso dimenticate. All’inizio del Novecento, quando Parigi dettava legge in fatto di couture, Rosa Genoni provò a immaginare un’altra strada. Stilista e attivista, nel 1906 portò all’Esposizione Internazionale di Milano una collezione ispirata al Rinascimento: un abito che rievocava la Primavera di Botticelli ed un manto tratto da un disegno di Pisanello.
Creazioni che conquistarono la giuria e, soprattutto, lanciarono un messaggio politico e culturale: l’Italia poteva avere una moda autonoma, capace di parlare di arte, storia e dignità del lavoro femminile. Nonostante l’originalità, Rosa Genoni è rimasta a lungo ai margini della memoria collettiva, offuscata dai nomi che avrebbero dominato la scena decenni più tardi.
Bisognerà attendere il 1951 perché quella intuizione trovi continuità. A Firenze, l’imprenditore Giovanni Battista Giorgini organizzò nella Sala Bianca di Palazzo Pitti la prima sfilata rivolta ai buyer americani. Un’idea semplice ma al contempo visionaria: mostrare al mondo non copie dell’eleganza francese ma l’autentico stile italiano. Le sorelle Fontana, Simonetta, Carosa e il giovane Capucci conquistarono immediatamente il pubblico internazionale.
La moda diventava così un prodotto d’esportazione, un’industria capace di trainare interi distretti, dal tessile alla pelle. Così nasceva il mito del Made in Italy. Negli anni Settanta e Ottanta la capitale naturale di questo mito divenne Milano. In città si affermarono Armani, Versace, Ferré, Krizia, Missoni: divenne il crocevia dei distretti industriali, di manodopera specializzata ed un sistema editoriale potente con riviste e media capaci di trasformare una sfilata in racconto narrativo globale. In quel contesto la Fashion Week si strutturò con la nascita della Camera Nazionale della Moda Italiana.
Da allora la Milano Fashion Week ha sempre raccontato più degli abiti che presenta. Negli anni Ottanta incarnava l’ottimismo di un Paese in piena crescita. Negli anni Novanta rifletteva la globalizzazione e la nascita dei grandi gruppi del lusso. Oggi ci mostra nuove tensioni tra sostenibilità, digitalizzazione, trasparenza delle filiere e mancanza di ricambio generazionale. Il suo cuore però resta lo stesso, quel “saper fare” che ha reso il Made in Italy un marchio riconosciuto in tutto il mondo. La sua sfida attuale è coniugare passato e futuro oltre che tradizione ed innovazione. Una lezione che Rosa Genoni aveva già intuito oltre un secolo fa: la moda italiana è credibile solo se resta fedele a sé stessa, intreccio di cultura, lavoro e creatività.
Di Serena Parascandalo
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche