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Ricordando Sebastião Salgado

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Ricordando Salgado: “Ghiacciai”, uno degli ultimi progetti del grande fotografo, in mostra al Matr di Rovereto. Tra le opere, più di 50 lavori mai mostrati al pubblico prima d’ora

Ricordando Sebastião Salgado

Ricordando Salgado: “Ghiacciai”, uno degli ultimi progetti del grande fotografo, in mostra al Matr di Rovereto. Tra le opere, più di 50 lavori mai mostrati al pubblico prima d’ora

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Ricordando Sebastião Salgado

Ricordando Salgado: “Ghiacciai”, uno degli ultimi progetti del grande fotografo, in mostra al Matr di Rovereto. Tra le opere, più di 50 lavori mai mostrati al pubblico prima d’ora

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La notizia l’avrete certamente letta, almeno che non siate viaggiatori interspaziali appena giunti sul nostro pianeta: è scomparso a Parigi, all’età di 81 anni, Sebastião Salgado. Il mondo ha perso non soltanto uno dei più grandi fotografi che ne abbiano percorso le strade, ma anche uno dei suoi testimoni più attenti. Salgado lascia un’eredità fatta di luce e ombra, di poesia visiva, di verità trasformata in memoria collettiva. Di biografie e retrospettive ne sarà ormai pieno il web, oggi che di giorni passati dalla notizia se ne contano un po’, motivo in più per ricordarlo attraverso quello che è stato uno dei suoi ultimi progetti: la sua mostra “Ghiacciai” al Mart di Rovereto.

Il 2025 è stato proclamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite anno mondiale della tutela e della salvaguardia delle nevi perenni. Ecco quindi la scintilla per il progetto. Siamo stati ospiti della mostra qualche settimana prima che Salgado ci lasciasse ed è stata un’occasione preziosa per farsi descrivere dalle parole di uno dei due curatori, Gabriele Lorenzoni, il lavoro svolto: «La particolarità di questa mostra è che può essere ammirata esclusivamente qui, poiché è stata creata appositamente per i nostri musei e per questo anno così speciale. Tra le 54 opere fotografiche esposte, più di 50 sono lavori mai mostrati al pubblico prima d’ora».

Ogni aspetto è stato fin dal principio curato in costante sinergia con lo stesso Salgado: «Il suo entusiasmo è stato evidente, ha partecipato attivamente a tutte le fasi della produzione della mostra» aveva raccontato Lorenzoni. «Insieme alla moglie, ha seguito personalmente il processo di selezione delle immagini, la produzione, la stampa, l’incorniciatura e persino il posizionamento dei vetri. Ha inoltre collaborato direttamente con l’ente museale per l’allestimento. Il colore blu delle pareti, ad esempio, è stato scelto proprio dal maestro in persona».

Per quanto le bellissime foto ritraggano paesaggi stupendi, è chiaro che l’intento primario – per un fotografo che ha fatto del catturare l’attimo un mezzo di denuncia – non poteva esser solo immortalare la bellezza del nostro pianeta. Dalla Penisola Antartica al Canada, dalla Patagonia all’Himalaya, dalla Georgia del Sud alla Russia, le fotografie ritraggono – in un bianco e nero ricco di contrasti – alcuni dei luoghi più studiati da ricercatori che indagano la storia geologica della Terra, così come le conseguenze a breve e lungo termine della crisi climatica e del riscaldamento globale. Foto che parlano: «La sua è un’arte profondamente politica, al 100%. E su questo punto Sebastião Salgado non ha mai fatto concessioni» osservava Lorenzoni. «Allo stesso tempo è impeccabile la qualità della sua visione, dei singoli scatti e della produzione delle sue opere. Gli appassionati più attenti potrebbero raccontare nel dettaglio alcune delle sue meticolose procedure: ogni fotografia è frutto di un lavoro preciso, di un’immersione totale nella scena, sempre alla ricerca della perfezione».

La scelta del bianco e nero, che Salgado portava avanti con coerenza fin dalla fine degli anni Settanta, rispondeva a un’esigenza precisa: conferire alle immagini una forza plastica e atemporale, capace di andare oltre la semplice documentazione. Non si pensi però sempre e soltanto a un bianco e nero ‘semplice’: «Per queste stampe realizzate ad hoc, Salgado ha scelto un impatto visivo sorprendentemente ricco di colori. Si trovano tonalità seppia, numerose sfumature di grigio, marroni e persino accenti di giallo. Una scelta precisa, come lui stesso ha spiegato» precisava Lorenzoni. «I soggetti delle fotografie sono ghiacciai morenti, non paesaggi esaltanti o immacolati. Proprio per questo ha evitato il bianco e nero puro, che avrebbe potuto restituire un’immagine troppo luminosa e affascinante, quasi scintillante. Ha voluto piuttosto trasmettere la gravità e la malinconia della scomparsa».

Di Federico Arduini

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