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Se la divinità si ritrova nella scienza

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Scienza e Fede: ma se oggi, per paradossale scherzo della Storia, da una scienza tutta laica scaturisse ancora quella certa idea di trascendenza e di assoluto?

Scienza e Fede

Se la divinità si ritrova nella scienza

Scienza e Fede: ma se oggi, per paradossale scherzo della Storia, da una scienza tutta laica scaturisse ancora quella certa idea di trascendenza e di assoluto?

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Se la divinità si ritrova nella scienza

Scienza e Fede: ma se oggi, per paradossale scherzo della Storia, da una scienza tutta laica scaturisse ancora quella certa idea di trascendenza e di assoluto?

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Ormai la morte di Dio è quasi un luogo comune. L’ossimoro di un Ente insieme effimero e immortale ha avuto grande seguito e gli eredi di Nietzsche potrebbero a buon titolo rivendicarne il copyright. Non c’è pensatore del Novecento, progressista o conservatore, che non denunci a vario titolo la scomparsa del mito, del sacro, di una qualche spiritualità. Si rimpiange tutto un patrimonio di valori e tensioni ideali distrutti dalla tecnologia e dal denaro: tra Superuomo di massa, consumismo e templi deserti. Una Chiesa ridotta ad «agenzia sociale», secondo l’espressione di Benedetto XVI. E Francesco, il successore, che giunge a chiedersi: «Chi sono io per giudicare?». Il papa, Santità: il papa. Almeno a quanto risulta.

Negli scaffali delle sue raccolte, Aristotele teneva i trattati filosofici dopo i libri di fisica relativi al mondo materiale: «Metà tà physikà». Dopo i libri e, in prospettiva, oltre la realtà sensibile. Per molti secoli è andata così: con la scienza – ovvero la certezza del sapere – contrapposta al credere, ovvero la fede nell’invisibile. La mela di Adamo e la mela di Newton: due mondi. Nel Novecento, con la morte di Dio, la stessa speculazione metafisica avrebbe poi tolto il disturbo da un mondo di relativismo e nichilismo, che da tempo aveva sostituito il cielo con la terra: tra edonismo, new age paganeggiante e dittatura tecnologica. Su questo concordano intellettuali molto diversi, da Pasolini a Marcuse, quando già ai primi del secolo scorso Oswald Spengler aveva decretato il tramonto della civiltà occidentale e dei suoi orizzonti umanistici.

Ma se oggi, per paradossale scherzo della Storia, da una scienza tutta laica scaturisse ancora quella certa idea di trascendenza e di assoluto? È un caso che il bosone di Higgs, quel corpuscolo infinitesimale che dà sostanza a ogni cosa, sia indicato come ‘particella di Dio’ dagli stessi scienziati? I telescopi spaziali Hubble e Webb scrutano le abissali profondità del cosmo, attraverso il tempo e lo spazio. Ne sfiorano le origini prime e i misteri ultimi, riproponendo interrogativi eterni evocanti la Genesi: «E la luce fu». Ora esce anche in Italia “Dio, la scienza, le prove” (Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnossies, editore Sonda). Qui la novità – e la stranezza – non è tanto lo sforzo di dimostrare Dio: già ci aveva provato la Patristica. Ma che si intenda farlo more geometrico, per via scientifica. Non è detto sia possibile, ma il tentativo segna una svolta in favore di una scienza non ottusamente scientista e senz’anima, quel supponente positivismo che vorrebbe occupare e spiegare tutto. No: piuttosto il contributo per una ricerca aperta, critica, animata da un ésprit de finesse umile e vivaceDove ogni scoperta generi nuove domande. Per Giuseppe Sermonti, grande biologo e genetista, la vera scienza non esaurisce la conoscenza: è solo un suo aspetto. Il suo compito, piuttosto, è coltivare il mistero.

di Gian Luca Caffarena

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