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Sua maestà Leibovitz, la regina del ritratto

Anna-Lou Leibovitz, “Annie”, è la fotografa più richiesta nel mondo dell’arte. Tante le celebri foto come quella dei Blues Brothers, di Arnold Schwarzenegger o l’ultimo scatto a John Lennon prima dell’omicidio.
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Sua maestà Leibovitz, la regina del ritratto

Anna-Lou Leibovitz, “Annie”, è la fotografa più richiesta nel mondo dell’arte. Tante le celebri foto come quella dei Blues Brothers, di Arnold Schwarzenegger o l’ultimo scatto a John Lennon prima dell’omicidio.
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Sua maestà Leibovitz, la regina del ritratto

Anna-Lou Leibovitz, “Annie”, è la fotografa più richiesta nel mondo dell’arte. Tante le celebri foto come quella dei Blues Brothers, di Arnold Schwarzenegger o l’ultimo scatto a John Lennon prima dell’omicidio.
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Anna-Lou Leibovitz, “Annie”, è la fotografa più richiesta nel mondo dell’arte. Tante le celebri foto come quella dei Blues Brothers, di Arnold Schwarzenegger o l’ultimo scatto a John Lennon prima dell’omicidio.
Chi ha visto la sua foto dei Blues Brothers (John Belushi e Dan Aykroyd con la faccia dipinta di blu) o quella di Pelè (un primo piano dei piedi) o quella di Arnold Schwarzenegger (che sostituisce l’enorme pneumatico di un fuoristrada mostrando nello sforzo i muscoli esagerati) non potrà mai dimenticare la semplicità e l’originalità della fotografa più anticonformista, divertente e geniale che si sia mai vista al mondo. Anna-Lou Leibovitz, ma da sempre Annie, nasce a Waterbury nel Connecticut il 2 ottobre del 1949. Figlia di un ufficiale dell’aeronautica americana e di un’insegnante di danza classica, studia pittura al San Francisco Art Institute, ma segue anche corsi serali di fotografia: una passione che diventerà il suo lavoro. Grazie a un servizio sui kibbutz in Israele, nel 1970 si guadagna la collaborazione con il periodico musicale “Rolling Stone” e diventa presto la prima donna a essere nominata capo-fotografo. Sono suoi l’ultimo scatto a John Lennon prima dell’omicidio (lui nudo che abbraccia Yoko Ono vestita) e quelli all’artista Christo (completamente incartato, anche la faccia) e al batterista degli Who Keith Moon (in una stanza completamente devastata e piena di donne seminude che lo abbracciano ridendo). Nel 1983 passa a “Vanity Fair” e la sua fama, ormai già ampia, si allarga ulteriormente. Firma la copertina del disco di Bruce SpringsteenBorn in the Usa” ed è ormai la ritrattista più richiesta nel mondo dell’arte. Sting le chiede un servizio e lei lo realizza mettendolo coperto di fango, nudo, in mezzo al deserto. Anche Keith Haring la cerca e lei gli fa allestire una stanza bianca e con i suoi famosi segni alle pareti: lui posa nudo, dipinto a sua volta di bianco e dei suoi segni; a un primo sguardo non si capisce nulla, poi questo mimetismo svela la composizione. Celebri i suoi servizi su Mikhail Baryshnikov e Mark Morris, che si slanciano su fondali ambientati. E grande risonanza ottiene anche per il prestigioso calendario Pirelli 1999. Anche la vita privata di Annie è al centro delle cronache. La sua compagna, la scrittrice Susan Sontag (che Annie, con vezzo un po’ snob, si rifiuta di definire compagna) è il completamento della sua felicità. Si conoscono nel 1988, quando la Leibovitz aveva 39 anni e la Sontag 55. «Era proprio la persona che volevo incontrare, al momento giusto: un momento meraviglioso» rivela Annie al “The Guardian”. Ha una figlia, Sarah, che nasce nel 2001, non senza contrasti per l’età ormai avanzata di 51 anni. Dopo la morte di Susan, nel 2004, Annie ha ancora due gemelle, Susan e Samuelle, con la fecondazione in vitro. La maternità la aiuta molto a dominare il suo carattere un po’ irruento sui luoghi di lavoro, verso i collaboratori che non sono pronti a leggerle il pensiero. Le sue immagini fanno parte delle collezioni dell’Art Institute di Chicago, del Museum of Modern Art di New York e del Los Angeles County Museum of Art. E il lavoro va avanti: realizza il calendario Lavazza nel 2009 e ancora quello Pirelli nel 2016. Nessuno può spodestarla dal trono di regina dei ritratti dalla vetta del suo penthouse a Manhattan.   di Roberto Vignoli

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