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Il Gattopardo senza un editore

Non in linea con la ‘nuova’ letteratura, “Il Gattopardo”, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, è stato anche un clamoroso caso editoriale.
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Non in linea con la ‘nuova’ letteratura, “Il Gattopardo”, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, è stato anche un clamoroso caso editoriale.
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Il Gattopardo senza un editore

Non in linea con la ‘nuova’ letteratura, “Il Gattopardo”, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, è stato anche un clamoroso caso editoriale.
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Non in linea con la ‘nuova’ letteratura, “Il Gattopardo”, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, è stato anche un clamoroso caso editoriale.
Per aspera ad astra. Nel motto latino vi è il cammino accidentato fino al successo de “Il Gattopardo”. Uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, ma anche un clamoroso caso editoriale. Giuseppe Tomasi di Lampedusa inizia a scriverlo nel 1955, ispirato dalla figura del bisnonno paterno. A spingerlo all’avventura letteraria è il successo del cugino Lucio Piccolo che, l’anno prima, si era imposto al convegno letterario di San Pellegrino Terme con le poesie spedite a Montale e poi pubblicate nella collana mondadoriana dello Specchio col titolo “Canti barocchi”. I due cugini erano andati in treno insieme (con loro anche il fedele servitore) all’appuntamento col ‘Continente’ e con gli ambienti mondano-letterari. Giuseppe quei giorni rimane in disparte «sempre con la medesima piega amara delle labbra» e, benché guardi con distacco e ironia quel mondo a lui estraneo, è stimolato a cimentarsi nella scrittura. Quando, nel maggio del 1956, Tomasi crede di avere concluso il manoscritto, il cugino Lucio l’inoltra a Federico Federici, un funzionario della Mondadori conosciuto per via della sua silloge. Già la sua prima risposta però è fredda, e lo è anche la seconda di ottobre: «Il manoscritto va valutato da un comitato di lettori e si prevedono tempi lunghi». Nelle missive il suo cognome non è preceduto da “conte”, titolo a cui Federici tiene molto. Questo il primo errore dei cugini. Ne seguono altri: il testo è inviato ‘a rate’, incompiuto. Alla seconda lettera a Federici – dove è definito «un ciclo di novelle» – infatti sono acclusi altri due capitoli. L’esito della Mondadori giunge a Lucio Piccolo il 10 dicembre ed è letto come un rifiuto, sebbene non lo sia del tutto. Licy Wolff, la moglie psicanalista del principe, commenta nella sua agenda: «Rifiuto di quel porco di Mondadori». Tomasi di Lampedusa non demorde, continua a scrivere e aggiunge due nuovi capitoli: quelli sulle vacanze di padre Pirrone e del ballo. Nel marzo del 1957 è Fausto Flaccovio, libraio ed editore palermitano, a inviare il dattiloscritto – che non pubblica perché gli interessa solo la saggistica – a Elio Vittorini, direttore della collana “Gettoni” di Einaudi. La lettera che l’accompagna, scritta da un erudito tuttora non identificato, è un’illuminata ‘recensione’. Nel frattempo – tramite l’ingegnere Giargia, paziente di Licy Wolff – lo scritto perviene a Elena Croce, figlia del filosofo. La risposta di Vittorini arriva al principe in fin di vita. È lunga e articolata ma chiara: il romanzo non è in linea con la ‘nuova’ letteratura. Vittorini lo aveva già letto per Mondadori, di cui era consulente, e non l’aveva bocciato ma chiesto di rivederlo. Seppure lento, il percorso Giargia-Elena Croce si rivela conducente. Grazie a esso Bassani legge il dattiloscritto, entusiasta recupera gli altri due capitoli e “Il Gattopardo” nel novembre del 1958 viene stampato da Feltrinelli. In poco tempo è un boom editoriale e l’anno dopo sarà insignito dello Strega. Tomasi di Lampedusa benedice dall’alto dei cieli, dove era migrato.   di Antonino Cangemi

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