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Il tunnel della libertà

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In “Tunnel 29” (Mondadori), la giornalista inglese Helena Merriman racconta in uno splendido romanzo la formidabile fuga, sotterranea, di 29 persone che nel 1962 lasciarono Berlino Est e andarono a Ovest

Il tunnel della libertà

In “Tunnel 29” (Mondadori), la giornalista inglese Helena Merriman racconta in uno splendido romanzo la formidabile fuga, sotterranea, di 29 persone che nel 1962 lasciarono Berlino Est e andarono a Ovest

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Il tunnel della libertà

In “Tunnel 29” (Mondadori), la giornalista inglese Helena Merriman racconta in uno splendido romanzo la formidabile fuga, sotterranea, di 29 persone che nel 1962 lasciarono Berlino Est e andarono a Ovest

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Berlino, 12 agosto 1961, notte fonda. Vengono spenti i lampioni e interrotte le comunicazioni, nessuno deve sapere e vedere. Comincia l’Operazione Rose. È ordita da Walter Ulbricht, turiferario dell’inumana ideologia comunista. Si prefigge di arrestare l’emorragia di persone e professionisti diretti a Ovest, che in piena Guerra fredda imbarazza e impoverisce la Germania Est (macilenta dittatura statalista asservita a Mosca).

I carri armati raggiungono i valichi di frontiera, depositando soldati muniti di mitragliatrice e rotoli di filo spinato. Centocinquanta tonnellate che si snodano senza sconfinare di un millimetro, fendendo parchi e piazze, campi da gioco e cimiteri. Finalmente, allo spuntare dell’alba i soldati hanno chiuso 193 strade, sigillato 68 varchi di passaggio, sbarrato 12 stazioni ferroviarie. Quattro giorni dopo, usando gigantesche gru, gli operai sollevano dai camion blocchi prefabbricati di tre metri e li calano sul confine. Principia una raggelante realtà. Sorge un muro eretto per imprigionare la popolazione anziché respingere i nemici. Infatti divide in due Berlino, la Germania, il mondo. Separa anche i mariti dalle mogli, i fratelli dalle sorelle. Taglia a metà vie e vite, amori e amicizie.

Un muro da oltrepassare per conquistare la libertà. Nascosti nei bauli delle auto, sotto le mentite spoglie di turisti, a nuoto tra le correnti dello Sprea. O anche carponi in un cunicolo, avvolti da argilla e silenzio, sospinti dalla paura di essere scoperti e dal coraggio di compiere una clamorosa impresa al contempo. Come fecero 29 fuggitivi, tra il 14 e il 15 settembre 1962, aiutati da un ingegnoso gruppo di studenti universitari guidato da Joachim Rudolph, che scavò una galleria lunga 135 metri sotto Bernauer Strasse, nel cuore della città.

In “Tunnel 29” (Mondadori), la giornalista inglese Helena Merriman racconta questa straordinaria storia, ricostruisce la loro formidabile fuga, confezionando uno splendido romanzo. «Per molti berlinesi dell’Est, il Muro è il costante ricordo della vita dall’altra parte, quella che non possono vivere» precisa. «La disperazione sfocia in un soffocante senso di impotenza» prosegue. La striscia della morte incute terrore, allunga la sua minacciosa ombra sui pensieri più temerari, insieme al ringhio dei pastori alsaziani e al crepitio dei kalashnikov dei VoPo. Tuttavia, da tale abisso di rassegnazione decine di uomini, donne e bambini estraggono un filo di luce; disposti a rischiare tutto, a mettere a repentaglio la vita pur di scappare dalla miseria e dall’oppressione della Ddr. Regime che brulica di spie e infiltrati della Stasi.

«I tentativi di fuga erano ammantati di segretezza perché gli informatori della Stasi continuavano a infiltrarsi, con conseguenze tragiche» annota l’autrice. Arresti arbitrari, estenuanti torture psicologiche, processi farsa. Riparare all’Ovest è un reato punito con l’isolamento, l’ergastolo, la pena capitale. All’opposto, corrieri e passatori insistono a soccorrere i fuggiaschi, escogitando evasioni e architettando ambiziosi piani di salvezza. Tra loro, nel Paese più sorvegliato del mondo, Joachim Rudolph, «l’uomo che ha scavato il tunnel senza avere nessun affetto personale da trarre in salvo», come «un eroe greco che segue il suo destino» onora la propria vocazione, vincendo la sfida più audace di ogni esistenza. Quella della libertà.

Di Alberto Galimberti

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