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Lagioia nel segno di Pinketts

Alla 35esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, diretta da Nicola Lagioia, un omaggio allo scrittore Andrea G. Pinketts
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Lagioia nel segno di Pinketts

Alla 35esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, diretta da Nicola Lagioia, un omaggio allo scrittore Andrea G. Pinketts
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Lagioia nel segno di Pinketts

Alla 35esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, diretta da Nicola Lagioia, un omaggio allo scrittore Andrea G. Pinketts
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Alla 35esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, diretta da Nicola Lagioia, un omaggio allo scrittore Andrea G. Pinketts
Questa edizione (la 35esima) del Salone internazionale del Libro di Torino è l’ultima firmata da Nicola Lagioia, che ne aveva assunto la direzione nel 2017. Un addio, il suo, che dispiace per l’impronta che lo scrittore pugliese aveva dato alla kermesse italiana del libro, diventata nel tempo seconda solo all’insuperabile Buchmesse di Francoforte che il prossimo ottobre celebrerà il suo 75esimo anno. L’ultimo romanzo di Lagioia, “La città dei vivi”, è di una rara capacità narrativa nel segno della delicatezza a fronte di uno degli episodi più crudeli della cronaca nera italiana. Chi avrebbe mai pensato d’avere il coraggio di cimentarsi in forma narrativa con quel fatto? Nel marzo 2016 due ragazzi romani “di buona famiglia” e “di buona sostanza economica” avevano infierito su un loro coetaneo di minore fortuna sociale per un’intera giornata, finché la morte era arrivata come pietoso rimedio. Un altro Circeo? Non proprio. Se quella barbarie aveva avuto ‘spiegazioni’ socio-politiche, questa nemmeno quelle. Gesto inspiegabile, insomma. E inspiegato. Se non con noia e/o droga, passepartout capaci di aprire qualsiasi stanza chiusa. No. Basta leggere quel romanzo. Insomma, è con rammarico che salutiamo quest’ultima edizione del Salone del Libro perché diretta da uno scrittore di razza. Come di razza era Andrea G. Pinketts (Andrea Giovanni Pinchetti: Milano 1960 – Milano 2018), l’inventore del personaggio di Lazzaro. Ma, soprattutto, di un linguaggio inedito che lo ha portato a diventare un innovatore sul piano di una narrazione letteralmente giocata attorno ad acrobazie lessicali, aforismi e neologismi degni del miglior Oscar Wilde. E dello scapestrato collega britannico Pinketts poteva essere considerato uno dei figli naturali, per la stessa vocazione quasi mariniana allo stupore: se per l’autore de “L’Adone” «fin del poeta» era la meraviglia, Wilde e Pinketts avevano fatto della loro stessa vita una meraviglia. “Le Trottoir” di Milano era il regno di Andrea, con i muri su cui campeggiavano – letteralmente inchiodati – alcuni suoi libri. In quel locale milanese ho pranzato con lui più volte, nel senso che io mangiavo e lui beveva. Birra. Birra e poi Negroni. Ma non necessariamente in quest’ordine. «Certo che sei strano…» «Perché?» «Perché mangi che non è nemmeno sera». Io, lo strano. Una volta più esagerata di altre: «Così ti ammazzi». Un’alzata di spalle, un sorriso sardonico, un fegato segnato. È bello annunciare che alle 14 di oggi il Salone di Torino gli renderà onore con un incontro a tema: “Passami la lingua – L’avanguardia letteraria di Andrea G. Pinketts”. «Ho invidia per la tua scrittura. E questo è il più grande complimento che potrebbe fare a uno scrittore uno che campa di scrittura» «Ma io non sono uno scrittore, sono Pinketts, Genius Pinketts». Per sua spiegazione, quella G. non stava infatti per Giovanni, ma per Genius. di Pino Casamassima

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