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Presentismo: il problema del sempre presente

L’Occidente ha creduto che la guerra in Ucraina sarebbe finita in poche settimane e ciò è colpa del presentismo in cui viviamo
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Presentismo: il problema del sempre presente

L’Occidente ha creduto che la guerra in Ucraina sarebbe finita in poche settimane e ciò è colpa del presentismo in cui viviamo
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Presentismo: il problema del sempre presente

L’Occidente ha creduto che la guerra in Ucraina sarebbe finita in poche settimane e ciò è colpa del presentismo in cui viviamo
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L’Occidente ha creduto che la guerra in Ucraina sarebbe finita in poche settimane e ciò è colpa del presentismo in cui viviamo

Tutta colpa del presentismo? «L’Occidente ha creduto che la guerra in Ucraina sarebbe finita in poche settimane e ciò è colpa del presentismo in cui viviamo». Un altro effetto di quella decadenza occidentale di cui parlano i sostenitori della superiorità morale e intellettuale russa alla Dugin? E no, perché anche Putin ha preso una cantonata solenne nel credere che «sarebbe stata una guerra lampo».

Il giudizio è di François Hartog, direttore di studi nella École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi ed elaboratore in particolare di una teoria del “regime di storicità” cui è arrivato utilizzando suggerimenti di Lévi-Strauss, Sahlins, Koselleck, Lenclud, lungo un percorso che va da Hegel a Heidegger. Da tempo Hartog segnala lo sconvolgimento di un ordine del tempo articolato in passato, presente e futuro, per cui l’Occidente «rifiuta la memoria e si nega all’utopia di un diverso futuro». Recentemente è stato tradotto e pubblicato in italiano il suo “Cronos. L’Occidente in lotta con il tempo” (Einaudi), premiato nel 2021 con il Gran Premio Gobert. Un libro scritto prima della guerra, ma che ora proprio alla luce della guerra ha aggiornato con una intervista alla “Bbc”.

«Il tempo è onnipresente, inevitabile e ineludibile» spiega. Innanzitutto, è ciò che non può essere afferrato. Ma pur essendo l’inafferrabile, gli uomini non hanno mai smesso di cercare di padroneggiarlo. Innumerevoli sono state le strategie messe in campo per comprendere il tempo o per illudersi di riuscirci, dall’antichità classica ai giorni nostri, passando per il famoso paradosso di Agostino: finché nessuno ti chiede che cos’è il tempo, lo sai; ma appena te lo chiedono, non lo sai più.

Hartog spiega che in Occidente il cristianesimo si basa su un «presentismo apocalittico» perché in ogni momento sul mondo potrebbe arrivare il Giudizio Universale: «La fine dei tempi è vicina». Nel XVIII secolo questa visione era stata sostituita dalla fede in un futuro che sarebbe stato migliore del presente – per effetto dello sviluppo della tecnologia e delle conoscenze – e che in un certo modo era la laicizzazione nella fede nel Paradiso che avrebbe dovuto venire dopo la Fine dei tempi. Ma con le guerre mondiali e la Shoà «abbiamo iniziato a dubitare che i figli sarebbero vissuti meglio dei genitori».

Il cambiamento climatico a sua volta è diventato una versione laica del Giudizio finale. Un minimo di fiducia sembrava paradossalmente essere tornato in pandemia, con l’idea che il futuro avrebbe dovuto essere meglio di un presente così disgraziato. «Ma ci siamo già accorti che il mondo dopo il Covid è molto simile al mondo di prima».

Il presentismo ha anche aspetti rassicuranti. «Pensavamo che la guerra nel continente fosse un ricordo del passato» e «vediamo tutto come una serie televisiva, in cui tutto si aggiusta dopo pochi episodi». Ma non è così.

di Maurizio Stefanini

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