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L’aborto e i diritti traditi dalla carenza di mezzi

L’esempio della Francia e dell’aborto in Costituzione. Ma ci sono posizioni anche molto diverse nell’alveo dell’Unione europea, come fra diversi Stati degli Usa

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L’aborto e i diritti traditi dalla carenza di mezzi

L’esempio della Francia e dell’aborto in Costituzione. Ma ci sono posizioni anche molto diverse nell’alveo dell’Unione europea, come fra diversi Stati degli Usa

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L’esempio della Francia e dell’aborto in Costituzione. Ma ci sono posizioni anche molto diverse nell’alveo dell’Unione europea, come fra diversi Stati degli Usa

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L’esempio della Francia e dell’aborto in Costituzione. Ma ci sono posizioni anche molto diverse nell’alveo dell’Unione europea, come fra diversi Stati degli Usa

Sempre complicato parlare di una data come quella di domani, l’8 marzo, senza scadere in un’inevitabile retorica. I buoni propositi per il cambiamento non mancano, serve però la volontà di metterli in atto. La Storia ci ha insegnato che il primo passo per vedere riconosciuti certi diritti è quello di fissarli nero su bianco. Lo ha capito bene la Francia, culla di princìpi come la libertà e l’uguaglianza, che pochi giorni fa ha inserito il diritto all’aborto nella propria Costituzione. In Italia le reazioni non si sono fatte attendere: per una Emma Bonino che sottolinea come i diritti siano «una cosa fragile» e debbano essere «curati e difesi ogni giorno», c’è chi sostiene che il nostro Paese non abbia bisogno di una garanzia di livello costituzionale.

Non serve andare lontano: basti pensare a Malta, dove l’aborto viene garantito soltanto quando la vita della madre è a rischio. Stessa cosa accade in Polonia. In Ungheria nel 2022 è stata introdotta per legge la crudele pratica che obbliga la donna ad ascoltare il battito del cuore del feto prima dell’operazione. Posizioni anche molto diverse nell’alveo dell’Unione europea, come fra diversi Stati degli Usa. La stessa Italia deve fare i conti con tante realtà di fatto differenti da regione a regione, da città a città, persino fra ospedali. Non certo dissimili da quanto accade per altre prestazioni sanitarie, ma nel caso dell’aborto la specificità è determinata dall’alto numero di obiettori di coscienza. Stando alla relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza presentata in Parlamento, nel 2021 il fenomeno dell’obiezione – spinto anche da motivazioni di carattere religioso – ha riguardato il 63,6% dei ginecologi (valore appena in diminuzione rispetto al 64,6% del 2020), il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. Si tratta di numeri molto alti che inevitabilmente contribuiscono ad allungare le liste d’attesa. E il fattore tempo fa tutta la differenza del mondo nel caso dell’aborto e dei suoi limiti temporali di legge, spingendo molte donne a ricorrere ad aborti clandestini. Va sottolineato come anche l’enorme mole di lavoro abbia spinto molti ginecologi a disertare le sale operatorie.

Abortire non è mai una decisione facile e non serve essere dei geni per intuire come questa ferita, piccola o grande che sia, segni ogni donna che vi si trovi costretta. Troppo facile giudicare quando si vive un quotidiano distante anni luce da quello che devono affrontare certe persone. Sono passati 46 anni da quando, con la legge n. 194, l’aborto fu legalizzato. Negli anni il ricorso all’interruzione di gravidanza è diminuito costantemente, segno che le campagne di educazione hanno funzionato, accrescendo la consapevolezza e la capacità di ricorrere ai metodi contraccettivi. Nel 2009 è stato poi introdotto un altro metodo alternativo, la pillola abortiva RU486 da assumere entro la decima settimana. Si tratta del cosiddetto aborto medicale, un’alternativa che presenta meno rischi rispetto alla chirurgia ma anche un tasso di riuscita inferiore (98%). In questi anni la pillola RU486 ha garantito il diritto all’aborto a molte donne che altrimenti avrebbero faticato ad avere accesso a questa possibilità. Non in Burundi ma nell’occidentalissima Italia, dove i medici obiettori sono il 60% in Lombardia, in Liguria e Piemonte; l’80% nel Lazio, addirittura l’86% in Puglia e oltre il 90% in Basilicata e Molise.

Qualcuno lo ricordi a quanti sostengono che in Italia il diritto all’aborto non ha bisogno di essere tutelato.

di Ilaria Cuzzolin

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