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La sicurezza non sia solo uno slogan

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Numeri impressionanti sui casi di aggressione a personale medico e sanitario. Servono misure organiche che garantiscano sicurezza

La sicurezza non sia solo uno slogan

Numeri impressionanti sui casi di aggressione a personale medico e sanitario. Servono misure organiche che garantiscano sicurezza
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La sicurezza non sia solo uno slogan

Numeri impressionanti sui casi di aggressione a personale medico e sanitario. Servono misure organiche che garantiscano sicurezza
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Barbara Capovani è l’ultima vittima in ordine di tempo: la psichiatra di Pisa aggredita a sprangate da un suo ex paziente è morta e al di là delle responsabilità dell’assassino occorre una riflessione sulle aggressioni a personale medico e sanitario che nel triennio 2019-2021 sono state 4.821, con una media di 1.600 all’anno. Nella sola Toscana, teatro di quest’ultimo terribile fatto di cronaca, nell’ultimo anno le aggressioni – tra quelle verbali e fisiche – sono state più di 1.200. Numeri impressionanti, numeri su cui ragionare. Nel 71% dei casi, nell’ultimo triennio, a subire un’aggressione sono state donne: i ruoli più colpiti sono quelli dei cosiddetti tecnici della salute. Si va dagli infermieri agli educatori, a coloro che si occupano di pazienti con problemi di tossicodipendenza o con patologie psichiatriche. Sono quelli “in prima linea” e al di là della retorica, dell’invito a vigilare rivolto alle forze dell’ordine, il problema non è di semplice soluzione. In particolare, dopo la – giusta – chiusura dei manicomi le persone che hanno delle patologie psichiatriche vengono affidate di fatto alle famiglie (se ne hanno) o a loro stesse: certo vengono seguite dai professionisti, vengono per loro previste delle terapie ma esercitare su questi individui un controllo che impedisca rischi per l’incolumità propria e altrui è molto difficile. Si capisce facilmente ragionando sul fatto che ad esempio, nel caso della prescrizione di medicinali, il fatto che questi poi vengano assunti o meno rimane una decisione del paziente stesso. Con il rischio di un cortocircuito che può arrivare a conseguenze estreme. La terribile vicenda di Barbara Capovani non è l’unica ma solo l’ultima di questi mesi. Di contro non è giusto né accettabile che chi svolge professioni di aiuto, di cura, si ritrovi a mettere a rischio la propria incolumità. È necessario aumentare la rete di controlli, come più volte detto, nei casi degli ospedali, dotare gli accessi di Pronto soccorso anche di guardie. Altrimenti chi si ritrova appunto in prima linea rimane senza tutele. E si dovrà disporre di luoghi di contenimento che non siano lager, ma neanche aperti al rischio che i malati di mente facciano del male a sé o ad altri. È stata sì inserita la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce personale sanitario e sociosanitario. Ma per il resto limitarsi a proclami, a invocare maggiore sicurezza senza misure organiche che la garantiscano nei fatti, non serve a nessuno. Soltanto a incrementare un fenomeno già in corso: quello della fuga da queste professioni. Diventate troppo poco remunerate a fronte del rischio a cui è esposto chi le svolge. Di Annalisa Grandi

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