Quando si pensa a chi nel corso del tempo abbia segnato la storia della musica si tende, per ovvie ragioni, ad elencare decine di artisti, cantanti e compositori che con la propria arte hanno lasciato il segno. Ma per ognuno di loro, vi è sempre stato un esercito di persone che ha reso possibile quel miracolo; che la loro musica diventasse disco o fosse vissuta dal vivo. In questa schiera di persone, per lo più ignote ai libri di storia della musica, pochi sono riusciti a farsi ricordare. Uno di questi è stato senza dubbio Michael Lang, scomparso ieri all’età di 77 anni in un ospedale di New York, a 135 miglia di distanza da quel luogo a cui legò indissolubilmente il proprio nome: Woodstock.
Dopo aver abbandonato l’università di New York, Lang si era trasferito a Miami dove aveva dato anima e cuore all’attività di promoter, organizzando festival musicali sempre più grandi, fino al celebre Miami Pop Festival del 1968 con l’elettrizzante leggendaria esibizione di Jimi Hendrix.
Ma è l’anno successivo, il 1969, che avrebbe cambiato la sua vita. Trasferitosi a Woodstock – cittadina fervente e località sempre più di riferimento per artisti e attivisti vicini a quella controcultura che, nata nelle strade di San Francisco anni prima, stava ormai contagiando la maggior parte dei giovani americani – Lang iniziò a pensare di organizzare un grande festival che potesse essere simbolo e riferimento di tutto quel movimento culturale, pulsante ed energico, che cercava sempre più voci e megafoni per espandersi.
Fu così che insieme a Artie Kornfeld, Joel Rosenman e John Roberts – conosciuti dopo che i due avevano messo un annuncio sul New York Times e sul Wall Street Journal per cercare “interessanti opportunità, legali, di investimento e proposte d’affari” – mise in piedi quell’impresa titanica passata alla storia come il Festival di Woodstock. Tra il 15 e il 18 agosto 1969 in un campo di 250 ettari nella località di Bethel si radunarono oltre 500.000 persone (per alcuni si sfiorò il milione) per assistere alle esibizioni di quasi tutti i più grandi artisti dell’epoca: dai Grateful Dead agli Who, da Santana a Janis Joplin. Poi Joan Baez, Jimi Hendrix, Joe Cocker, Crosby, Still Nash and Young, Jefferson Airplane e tanti altri. Il concerto di Woodstock divenne così simbolo di un’era e segnò decine di generazioni. Una magia mai più replicata, benché ci abbiano provato in tanti, una sorta di chimera inseguita a più riprese e mai completamente raggiunta.
Lo stesso Lang aveva provato con tutte le sue forze a riproporre il celebre festival in occasione del cinquantennale di quei magici giorni nel 2019, ma dovette desistere a causa degli innumerevoli problemi organizzativi e della carenza di fondi. È però indubbio che Woodstock abbia creato un vero e proprio modello di spettacolo dal vivo – portando alla piena realizzazione l’archetipo di festival rock che era stato abbozzato la prima volta durante la Summer of Love del 1967 – a cui ancora oggi in molti si rifanno.
Un esempio su tutti è il celebre Coachella Valley Music and Arts Festival, evento monumentale che racchiude ogni anno grandi artisti ed ottime esibizioni ma che per atmosfera e innumerevoli differenze di spirito, tempi e protagonisti, non potrà mai essere lontanamente paragonabile a Woodstock. Ma è forse giusto così, che quel concerto rimanga un unicum, un qualcosa di irripetibile: un miracolo.
di Federico Arduini
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