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Diamanti Özpetek

Cinema sartoriale e pop, arriva nelle sale Diamanti di Ferzan Özpetek

L’abito non fa il monaco, ma lo veste. E “Diamanti”, il nuovo film di Ferzan Özpetek, veste armoniosamente il grande schermo

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Cinema sartoriale e pop, arriva nelle sale Diamanti di Ferzan Özpetek

L’abito non fa il monaco, ma lo veste. E “Diamanti”, il nuovo film di Ferzan Özpetek, veste armoniosamente il grande schermo

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Cinema sartoriale e pop, arriva nelle sale Diamanti di Ferzan Özpetek

L’abito non fa il monaco, ma lo veste. E “Diamanti”, il nuovo film di Ferzan Özpetek, veste armoniosamente il grande schermo

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L’abito non fa il monaco, ma lo veste. E “Diamanti”, il nuovo film di Ferzan Özpetek, veste armoniosamente il grande schermo

L’abito non fa il monaco, ma lo veste. E “Diamanti”, il nuovo film di Ferzan Özpetek, veste armoniosamente il grande schermo. Una celebrazione luminosa e colorata della creatività femminile che porta lo spettatore nella Roma degli anni Settanta, tra le mura dell’atelier Canova, sartoria di costumi per cinema e teatro. Özpetek intreccia il racconto di 18 donne legate dal lavoro e da vite che si riflettono le une nelle altre. Al centro, Alberta e Gabriella Canova (Luisa Ranieri e Jasmine Trinca), sorelle e fondatrici dell’atelier, che lavorano fra sarte, tingitrici e costumiste. Il cast è un mosaico variegato e brillante, con Geppi Cucciari, Paola Minaccioni, Milena Mancini e una straordinaria Mara Venier nel ruolo di Silvana, cuoca e anima del laboratorio.

Il film si apre in un giardino dove Özpetek convoca le sue ‘muse’ per un progetto interamente dedicato alle donne. Una sorta di introduzione a quello che sarà lo svolgimento dell’opera. E l’ispirazione si trasforma nel sogno materializzato all’interno del meraviglioso atelier. Un microcosmo dove le donne sono il sole e gli uomini i pianeti. Nel cuore del film ci sono i vari punti di vista femminili, raccontati attraverso il lavoro, l’arte e la quotidianità. I legami tra le protagoniste si tessono come i fili di un abito, ma forse con una linearità compassata: il tema musicale parte quando deve partire e i momenti si incastrano senza sbavature, in un velo di perfezionismo mai squarciato. La narrazione fatica a sviluppare una reale evoluzione dei personaggi: ognuna delle protagoniste ha sì situazioni personali complicate, che però rimangono spesso accennate. Alcune battute scadono nei cliché e la recitazione, seppur intensa, risulta a volte carica.

Il femminismo si muove da un’idea di ‘sessismo al contrario’ che cerca un’ironia non sempre raggiunta. Inoltre la scelta di ambientare la vicenda nel passato fa perdere un po’ della forza contemporanea che Özpetek ha saputo dare in altre opere. Gli intermezzi sperimentali che si ricollegano all’introduzione risultano però tra gli elementi più interessanti, suggerendo che sono l’assenza e il ricordo a generare emozioni. Insieme ai momenti conviviali, della cui messa in scena il regista turco naturalizzato italiano rimane maestro. La narrazione, punteggiata da melodramma e ironia, è visivamente impeccabile, grazie anche ai costumi (curati da Stefano Ciammitti) e alle scene con quelli originali della “Medea” di Pasolini o de “Il Gattopardo”.

Özpetek si muove su un terreno sdrucciolevole – fra il rischio di emulare i grandi film da metacinema e quello di scivolare nelle atmosfere da soap opera, come “Il paradiso delle signore” – ma mantiene una direzione salda e un punto di vista personale. L’opera corale si avvicina per energia a un varietà nazionalpopolare, quasi fosse il Festival di Sanremo. Ogni membro del cast è la punta di un grande diamante: Vanessa Scalera nel ruolo della costumista premio Oscar Bianca Vega, Carla Signoris e Kasia Smutniak come dive affascinanti e rivali, Milena Vukotic nella parte della zia ed Elena Sofia Ricci come madre delle sorelle Canova. La forza di “Diamanti” è proprio nella collettività: come le formiche, le protagoniste sono laboriose. Piccole da sole, ma potenti se unite. “Diamanti” è un caleidoscopio di storie, emozioni e talento. Un vestito autentico e ben cucito in cui ci si può sentire a proprio agio, anche con il suo taglio un po’ troppo su misura.

di Edoardo Iacolucci

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