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…e mi imbarcai su un cargobattente bandiera liberiana

Il 22 gennaio ”Borotalco”, il terzo film di Verdone, ha compiuto quarant’anni. La pellicola è la fotografia di una generazione che negli anni Ottanta si sentiva invincibile. Una commedia tutt’ora godibilissima.
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Il 22 gennaio ”Borotalco”, il terzo film di Verdone, ha compiuto quarant’anni. La pellicola è la fotografia di una generazione che negli anni Ottanta si sentiva invincibile. Una commedia tutt’ora godibilissima.
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Il 22 gennaio ”Borotalco”, il terzo film di Verdone, ha compiuto quarant’anni. La pellicola è la fotografia di una generazione che negli anni Ottanta si sentiva invincibile. Una commedia tutt’ora godibilissima.
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Il 22 gennaio ”Borotalco”, il terzo film di Verdone, ha compiuto quarant’anni. La pellicola è la fotografia di una generazione che negli anni Ottanta si sentiva invincibile. Una commedia tutt’ora godibilissima.
Quando il padre Mario Verdone chiese al figlioletto Carlo, che già a cinque anni guardava incantato Charlot, cosa fosse per lui il cinema, il piccolo rispose: «Tutto “Guardie e Ladri”…». Che è un film, diretto da Monicelli e Steno, che profuma di vita proprio perché si ride e piange insieme. Ed è quanto Carlo Verdone ha sempre cercato di fare in ogni sua pellicola, come fosse una promessa fatta al pubblico, prima che a sé stesso. Il 22 gennaio ha compiuto quarant’anni “Borotalco”, il terzo film di Verdone, il primo che lo vede interpretare un solo personaggio, quello del venditore di enciclopedie porta a porta Sergio Benvenuti, il cui nome è un doppio omaggio al maestro Sergio Leone e allo sceneggiatore Leonardo Benvenuti. Una commedia leggera, ma in senso calviniano, come suggerisce lo stesso titolo nato per caso durante una telefonata con Eleonora Giorgi (l’ingenua Nadia che farebbe di tutto per stringere la mano al suo idolo). In quell’occasione Verdone definì la pellicola «leggera come una nuvola, come borotalco». Effettivamente il film, che pure è accarezzato da una flebile malinconia, come del resto tutti quelli del regista romano, racconta di un’Italia sognante, piena di aspettative. Un po’ anche ‘fregnacciara’ – per usare un aggettivo caro a Fellini, fra i punti di riferimento dello stesso Verdone – che trova sostanza nel personaggio di Cesare Cuticchia o meglio Manuel Fantoni, interpretato da Angelo Infanti, il cui monologo pieno di immagini reboanti – da «Burt Lancaster alcolizzato totale, poveraccio… L’altra sera m’ha combinato un macello sulla moquette, m’ha vomitato…» a «Rachel Welch ha due capezzoli come du chiodi… così duri che ce puoi attaccà un quadro» – è entrato a far parte dell’immaginario collettivo. “Borotalco” è la fotografia di una generazione che negli anni Ottanta si sentiva invincibile, lanciatissima, pronta a non lasciarsi scappare l’occasione giusta; una gioventù a cui soprattutto oggi vien voglia di fare una carezza. Perché è vero il messaggio in filigrana del regista: le cose nella vita non vanno quasi mai come uno se le aspetta. Meglio? Peggio? Mentre se lo domanda, Verdone fa ridere il suo pubblico (e anche molto): dal divertente balletto in camera con Christian De Sica (frutto di un’improvvisazione) alla scena esilarante delle olive greche con Mario Brega, che sul finale si lascia andare a una battuta che oggi il politicamente corretto non ammetterebbe: «Pure con le negre vai… pure con le negre!». Il tutto condito dalle meravigliose canzoni (da “Cara” a “L’ultima luna”) dell’indimenticabile Lucio Dalla, il quale per il suo nome scritto a caratteri cubitali sui manifesti si arrabbiò non poco e minacciò Verdone di far saltare la prima del film, per poi tornare sui suoi passi dopo aver visionato il prodotto e l’omaggio che gli era stato riservato. Una commedia godibilissima, invecchiata bene, che esprime al meglio la quintessenza del regista, acuto osservatore della realtà, da sempre affascinato da quello straordinario giocattolo che è il cinema.   di Cristina La Bella

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