Ella Fitzgerald, virtuosismo oltre le tre ottave
Ella Fitzgerald aveva a disposizione un vero e proprio strumento naturale. Le sue canzoni trasmettevano emozioni variegate, punteggiate di gioia, entusiasmo e ironia
Ella Fitzgerald, virtuosismo oltre le tre ottave
Ella Fitzgerald aveva a disposizione un vero e proprio strumento naturale. Le sue canzoni trasmettevano emozioni variegate, punteggiate di gioia, entusiasmo e ironia
Ella Fitzgerald, virtuosismo oltre le tre ottave
Ella Fitzgerald aveva a disposizione un vero e proprio strumento naturale. Le sue canzoni trasmettevano emozioni variegate, punteggiate di gioia, entusiasmo e ironia
Ella Fitzgerald aveva a disposizione un vero e proprio strumento naturale. Le sue canzoni trasmettevano emozioni variegate, punteggiate di gioia, entusiasmo e ironia
Le sue performance non erano laceranti, sofferte come quelle di Billie Holiday. Al contrario: trasmettevano emozioni variegate, punteggiate di gioia, entusiasmo e ironia. Ella Fitzgerald, nata a Newport News (Virginia) nel 1917, aveva a disposizione un vero e proprio strumento naturale: simile al suono del corno, impeccabile e dotata di una purezza tonale quasi leggendaria, la sua voce superava le tre ottave ed eccelleva nello scat, il virtuosismo canoro tipico del jazz che utilizza una sorta di nonsenso fonematico a scopo ritmico (come la sigla di “Lunedì Film” interpretata da Lucio Dalla, per intenderci).
Orfana all’età di quindici anni, Ella andò a vivere da una zia nel quartiere Harlem a New York. Dopo alcuni spiacevoli tumulti che la portarono persino al riformatorio, il 21 novembre 1934 fece il suo debutto artistico in una serata amatoriale all’Apollo Theater. Fu presentata a Chick Webb, che la riteneva un «diamante grezzo» ma le diede comunque l’opportunità di esibirsi con il suo gruppo swing. La superba interpretazione di “A-Tisket, A-Tasket” (1938) porta la Fitzgerald – insieme all’orchestra di Webb – alle luci della ribalta: la canzone-filastrocca è trasmessa a viva forza dalle radio nazionali e il singolo raggiunge la prima posizione assoluta negli Stati Uniti aggiudicandosi addirittura, molti anni dopo, il Grammy Hall of Fame Award (1986), un premio pensato per le registrazioni che hanno dimostrato un saldo valore storico.
A partire dal 1942 Ella Fitzgerald lascia il gruppo (Webb era morto nel 1939) e tenta la carriera da solista, legandosi alla casa discografica Decca. L’arrivo del bebop – che soppianta lo swing – e la vicinanza di Dizzy Gillespie lanciano la cantante verso il già citato scat: “Flying Home” (1945) è ricordata come una delle prestazioni vocalmente «più influenti del decennio» (“New York Times”). Ma la decade successiva si dimostra ancora più esaltante sotto il profilo artistico: la pubblicazione del primo album in studio, “Ella Sings Gershwin”, risale al 1950; sei anni più tardi è la volta di “Ella and Louis”, primo dei tre dischi incisi con Armstrong, in cui figura una celebre versione di “Cheek to Cheek”.
In oltre mezzo secolo di carriera Fitzgerald ha registrato una settantina di album (se contiamo anche i numerosi live), affermandosi in svariati generi – gospel, blues, calypso – e facendo sempre leva sulla cristallinità del dettato, esaltata dal personalissimo grammelot musicale. Disse in una circostanza: «Suppongo che ciò che ognuno vuole più di ogni altra cosa sia l’essere amato. E sapere che voi mi amate per il mio canto è davvero troppo per me. Perdonatemi se non ho tutte le parole giuste. Forse posso cantarvele, e allora le capirete».
Dalla serie sterminata di “Songbooks” ai duetti con Frank Sinatra, Nat King Cole, Dean Martin: Ella Fitzgerald – scomparsa nel 1996 in California per l’aggravarsi del diabete – fu insignita delle più importanti decorazioni americane (compreso un dottorato in musica conferito dall’Università di Harvard). E, riferendosi ai suoi fan italiani, rivelò di esser stata ribattezzata da loro “Mamma Jazz”. «Penso che sia davvero bello. Almeno finché non mi chiameranno Nonna Jazz».
di Alberto Fraccacreta
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