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Esce al cinema “Campo di battaglia” di Gianni Amelio

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Non un film di guerra, ma sulla guerra. In sala “Campo di battaglia”, il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio. Un lavoro decisamente più viscerale che intellettuale

Esce al cinema “Campo di battaglia” di Gianni Amelio

Non un film di guerra, ma sulla guerra. In sala “Campo di battaglia”, il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio. Un lavoro decisamente più viscerale che intellettuale

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Esce al cinema “Campo di battaglia” di Gianni Amelio

Non un film di guerra, ma sulla guerra. In sala “Campo di battaglia”, il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio. Un lavoro decisamente più viscerale che intellettuale

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Non un film di guerra, ma sulla guerra. Per scelta etica e artistica, il conflitto è un’entità invisibile, un’ombra che aleggia su un ospedale militare dove va in scena una battaglia se possibile più complessa di quella che si combatte tra campi di fango, vallate e montagne. E riesce in questo modo ad aumentare la sua forza emotiva. Esce in sala “Campo di battaglia”, il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio. Un lavoro decisamente più viscerale che intellettuale, prodotto tra gli altri dal regista Marco Bellocchio e in concorso nell’81esima Mostra del cinema di Venezia che termina proprio oggi.

La trama – scritta dallo stesso Amelio insieme ad Alberto Taraglio – è tratta dal romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca. Ambientata sul finire della Grande guerra, è la storia di due ufficiali medici. Stefano (un sorprendente Gabriel Montesi) di estrazione alto borghese, con un padre puntiglioso che sogna per il figlio una carriera politica, lavora con il suo amico di infanzia Giulio (interpretato da un toccante Alessandro Borghi). Se quest’ultimo appare più sensibile e compassionevole, lasciandosi coinvolgere maggiormente dalla sofferenza altrui, Stefano cerca di mantenere ordine e disciplina. Razionale e pragmatico, ha un comportamento che sembra più da militare che da medico. Sono ghiaccio e fuoco e tra i due elementi c’è Anna (interpretata da una convincente Federica Rosellini). È amica di entrambi dai tempi dell’università alla Facoltà di Medicina, che non termina – sebbene sia molto brava – per gli alti ostacoli che in quei tempi affrontano nello studio le donne, soprattutto se prive di un’influente famiglia alle spalle. Ma vive comunque con passione e professionalità il suo lavoro da crocerossina.

Nell’ospedale militare ogni giorno arrivano dal fronte feriti gravi. Molti di loro però si sono feriti da soli: si fa di tutto pur di non tornare in prima linea. L’autolesionismo diventa un grido di aiuto silenzioso. I soldati disperati, alla ricerca di una via d’uscita da un tunnel buio senza fine, sono i veri protagonisti della storia. Tra le loro azioni apparentemente egoistiche, da cui emergono laceranti sofferenze e un limpido desiderio di vita, vanno in scena i contrasti dei diversi dilemmi morali di Stefano, Anna e Giulio. L’essere e il dover essere. La realtà e la percezione. Dalla quotidianità dell’ospedale è evidente quanto l’epico eroismo sia in realtà la vetrina di un palazzo in cui la vita di ogni giorno non riesce ad accedere. E lo stesso spettatore è guidato a interrogarsi sul significato di vita e morte, di giustizia e umanità.

Il film di Amelio riproduce fedelmente costumi e dialetti – dal siciliano al valdostano – e dipinge un affresco vivido del nostro Paese di inizio Novecento, segnato dalle ferite della guerra e da profonde disuguaglianze sociali. Ma da storico diventa contemporaneo: proprio verso la fine del conflitto si diffonde infatti sul fronte una specie di infezione. Un virus che colpisce in trincea più del fuoco nemico e contagia presto anche la popolazione civile.

La Storia è ciclica e si ripete. Le pandemie, come le guerre, mettono a nudo le ipocrisie del potere, le nostre fragilità e le nostre paure. Non vengono fornite risposte nette, ma sorgono domande sull’integrità fisica e su quella morale nonché sulla loro effettiva esistenza nell’animo umano.

di Edoardo Iacolucci

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