I Fantastici Quattro: l’origine rétro di un mito Marvel
“I Fantastici Quattro – Gli inizi” rilancia l’origine della prima famiglia Marvel con una visione stilizzata e malinconica
I Fantastici Quattro: l’origine rétro di un mito Marvel
“I Fantastici Quattro – Gli inizi” rilancia l’origine della prima famiglia Marvel con una visione stilizzata e malinconica
I Fantastici Quattro: l’origine rétro di un mito Marvel
“I Fantastici Quattro – Gli inizi” rilancia l’origine della prima famiglia Marvel con una visione stilizzata e malinconica
Nel retro-futuro scintillante di Terra-828, dove i taxi fluttuano sotto cieli tagliati da monorotaie e i grattacieli sembrano sogni costruiti da architetti modernisti, “I Fantastici Quattro – Gli inizi” rilancia l’origine della prima famiglia Marvel con una visione stilizzata e malinconica. Matt Shakman, già autore della serie “WandaVision”, inaugura la Fase Sei del Marvel Cinematic Universe scegliendo un tono a metà tra il racconto d’avventura spaziale e il dramma domestico: perché prima ancora di salvare il mondo, i nostri eroi devono imparare a convivere con loro stessi.
Quando Galactus (interpretato con imponenza da Ralph Ineson) decide che la Terra sarà il suo prossimo pasto, i Fantastici 4 si ritrovano a fronteggiare una crisi non solo planetaria ma personale. Reed Richards (un carismatico Pedro Pascal) è geniale, ma fatica a gestire le relazioni umane con la stessa abilità con cui piega le leggi della fisica. Il suo potere elastico diventa immagine concreta della sua tendenza a tentare di tenere tutto insieme: famiglia, dovere e scoperta. Sue Storm, la Donna Invisibile, trova in Vanessa Kirby un’interprete elegante e intensa nel mettere in scena con delicatezza il suo doppio volto di leader visionaria e madre vulnerabile, capace di trasformare l’energia in campo di forza e in affetto. Sue è a capo dell’organizzazione scientifica e filantropica “Future Foundation” con pragmatismo e sensibilità, mentre affronta la gravidanza e un crescente senso di invisibilità emotiva. Ben Grimm, alias La Cosa, è il cuore emotivo della squadra. Ebon Moss-Bachrach lo interpreta (grazie alla tecnologia del motion capture) con una sorprendente umanità sotto la sua corazza rocciosa. Johnny Storm, la Torcia Umana (l’attore Joseph Quinn), è ancora l’adrenalina pura della squadra, ma con nuove sfumature: meno egocentrico, più consapevole.
L’arrivo della Silver Surfer (un’eterea e implacabile Julia Garner) segna il punto di rottura: il film vira dal racconto familiare al dramma cosmico, rivelando che dietro ogni cataclisma galattico si nasconde una crepa affettiva, un legame spezzato o un amore perduto. E così la battaglia per la Terra diventa una battaglia per la stessa convivenza.
Il mondo costruito da Shakman e dal designer Farahani è un gioiello retrofuturista: un 1960 alternativo dove la tecnologia ha seguito strade diverse grazie all’ingegno di Reed. Visivamente è un caleidoscopio rétro: una commistione tra “I Jetsons” di Barbera e l’architettura di Oscar Niemeyer. La stessa Excelsior, la nave spaziale del gruppo, sembra uscita da un sogno modernista. Gli interni sono composti di colori caldi e mobili in formica. I costumi, ispirati alla Nasa, sembrano usciti da un atelier orbitante di alta moda con tute spaziali che ricordano Pierre Cardin. La musica di Michael Giacchino lega tutto con un potente filo emozionale di fiati anni Sessanta e sintetizzatori vintage.
Il tono del film è equilibrato: momenti di humour (spesso affidati al robot Herbie) convivono con riflessioni più intime, scene d’azione con parentesi domestiche. L’umanità dei protagonisti è trattata con rispetto. Questo “Gli inizi” è visivamente affascinante e ben recitato. Ma è anche, in maniera lampante e come al solito, un prodotto progettato per evitare il fallimento. Forse proprio per questo è meno grave che continuino con le saghe questi film rispetto ad altri che inizialmente erano concepiti come opere autoriali. Qui, come sempre, ogni inquadratura, battuta, svolta di trama è fatta per rientrare nei binari del treno Marvel: nessuna dissonanza, nessun rischio artistico. È come se la meraviglia visiva venisse sterilizzata prima di arrivare sullo schermo per essere sicura. Intrattiene ma non scuote. Un film che non è fatto per essere ricordato ma per essere consumato, come Galactus fa con i pianeti.
di Edoardo Iacolucci
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