I Simpson strangolati dal buonismo
Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
I Simpson strangolati dal buonismo
Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
I Simpson strangolati dal buonismo
Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
AUTORE: Francesco Gottardi
Dieci secondi di luttuoso girato. «Vedi Marge» dice Homer Simpson. «Strangolare il ragazzo ha dato i suoi frutti. Scherzo, non lo faccio più: i tempi sono cambiati». Succede nella 35esima stagione di una delle serie animate più longeve e popolari di sempre. Che alla puntata 753 – settecentocinquantatré: come sugli assegni, scritto in lettere rende meglio l’idea – sembra gettare la maschera e abbandonare uno dei suoi sketch più emblematici. Le mani del moderno pater familias al collo del pestifero Bart, a suon di «brutto bagarospo» – nella mitica interpretazione italiana di Tonino Accolla – mentre gli occhi e la lingua del figliolo si dilatano a dismisura. Dal 1989 in poi, la scena si è ripetuta per oltre 140 volte. In chiave satirica, naturalmente. Mica per istigare alla violenza domestica. Ma appunto, «i tempi sono cambiati» e il politicamente corretto ormai non risparmia nemmeno i dissacranti Simpson. Questa è stata l’interpretazione di media e appassionati, quando l’episodio in questione è andato in onda lo scorso 22 ottobre negli Stati Uniti. Eppure, l’autocensura non c’entra. «Niente è cambiato, niente è stato ammansito» spiega James Brooks, il produttore esecutivo della serie, al magazine “People”. «Bart continuerà a essere strozzato e amato da suo padre nella sua personalissima maniera». Dunque, nel caso specifico, non sarebbe stato Matt Groening – il creatore dei Simpson – a parlare attraverso Homer ma il personaggio Homer a fare dell’ironia priva di messaggi subliminali.
Fa piacere sentirlo. Fa piacere vedere la vivace risposta a mezzo social, dove la famiglia di Springfield comunica che «Homer è troppo impegnato a strangolare Bart per commentare». E sotto, la vignetta-tipo con la parola clickbaiting al posto di bagarospo. Ma è una magra consolazione. Il problema di fondo è che l’umorismo dei Simpson non si fa più capire: oggi è più facile credere che lo show abbia abbracciato la causa woke, anziché continui a scherzare su tematiche diventate tabù. Perché una storia senza fine alla lunga si scarica di contenuti. L’originale lascia posto al prevedibile. E l’irriverente al conformista.
Piuttosto che optare per un congedo di qualità, Groening e soci hanno preferito adattarsi. Era già successo con il personaggio di Apu, il commerciante indiano che – disse Hank Azaria, suo doppiatore originale – avrebbe «fomentato il razzismo sistemico negli Stati Uniti». Era il 2018. I Simpson – via Lisa, all’epoca – si rammaricano del polverone buonista. Ma alla fine Apu sparisce dalle scene. E pure la gag dello strangolamento di fatto non viene più riproposta dal 2019. Sbandierarlo però farebbe crollare un mito. Così, per sopravvivere nei nuovi palinsesti, serve un gattopardismo rovesciato: niente deve cambiare perché tutto sia diverso da prima. E pazienza se nessuno ride più.
Di Francesco Gottardi
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