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Il fenomeno dei plagio musicale… inconsapevole

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Viene chiamato “plagio inconsapevole”. Il nome scientifico è criptomnesia, una condizione psicologica che porta a considerare come originale e propria un’idea o una creazione altrui

Il fenomeno dei plagio musicale… inconsapevole

Viene chiamato “plagio inconsapevole”. Il nome scientifico è criptomnesia, una condizione psicologica che porta a considerare come originale e propria un’idea o una creazione altrui

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Il fenomeno dei plagio musicale… inconsapevole

Viene chiamato “plagio inconsapevole”. Il nome scientifico è criptomnesia, una condizione psicologica che porta a considerare come originale e propria un’idea o una creazione altrui

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Alcuni di noi ne conservano ancora un nitido ricordo. Un sabato italiano del 1988, la trasmissione serale di punta e l’ospite speciale di turno: nello specifico, Phil Collins. Lui non è più il capelluto batterista della celebrata prog-band dei Genesis, ma una popstar che a partire dal 1981 ha seminato il mercato discografico mondiale di strepitosi singoli di successo. Con eleganza british, sorriso appena accennato, guadagna il proscenio: parte una base e lui intona le prime note di una melodia.

Il pubblico italiano sussulta: «Ma questa è “Agnese dolce Agnese!”». Il riferimento è a un brano di successo di uno dei nostri cantautori più amati: Ivan Graziani, grande fabbricante di melodie, forse il primo, vero guitar hero nostrano, un’indimenticabile voce in falsetto capace di rendere ancora più intense le sue ballate. Ma torniamo a Phil Collins. Lo shock è forte. Il pubblico si divide: chi si scandalizza, sentendosi testimone oculare di un evidente plagio. Chi al contrario si compiace del fatto che finalmente un autore italiano sia omaggiato da un grande musicista internazionale con la cover di una propria canzone: “A Groovy Kind of Love”.

Negli stessi anni una stazione radio (M100) manda in onda, intervallata da spot pubblicitari finanziatori, «solo successi del passato». Un flusso ininterrotto che combina i Pink Floyd con Nilla Pizzi, i Grateful Dead con Mino Reitano, Sanremo con Woodstock. Nel palinsesto fa capolino una canzone dal titolo “Non c’è più nessuno”. Il brano è del 1966 e a cantarlo sono I Camaleonti, una band italiana a inizio carriera che presto assaporerà il successo. Sul piano melodico (perché il testo è diverso) il pezzo è identico ad “Agnese dolce Agnese”.

Giusto qualche anno dopo – era il 1970 – il cantante Remo Germani, col duo Remo & Josie, sforna il primo reggae italiano dal titolo “Ora che sei qui”. Stessa storia: melodia identica a quella della ‘dolce Agnese’. Il grande Ivan Graziani avrebbe dunque plagiato un brano dei Camaleonti o magari di Remo Germani? Non proprio. Le canzoni della band italiana e del cantante citato sono un’accreditata cover di un brano datato 1963, eseguito e cantato dai Mindbenders. Titolo? “A Groovy Kind of Love”.

Quella lontana sera del 1988 Phil Collins non aveva plagiato né (ahinoi) omaggiato il grande Ivan Graziani, ma semplicemente ripescato un vecchio successo inglese. Il plagio lo avrebbe quindi commesso il nostro amato cantautore. Fine della storia? Neanche per sogno, c’è il colpo di scena finale: nelle camere dove bambini svogliati seguiti da severi insegnanti di musica stanno provando ad allacciare una relazione stabile con la tastiera di un pianoforte, compare la “Sonatina in sol maggiore op. 36 n. 5” del maestro Muzio Clementi. Melodia semplice, orecchiabile, uno studio perfetto per chi comincia ad approcciare il piano. La melodia è quella di “Agnese dolce Agnese” (o di “A Groovy Kind of Love”, scegliete voi). È stata composta alla fine del Settecento ed è la madre vera e biologica dei brani di cui stiamo parlando. Qualcuno, questo è evidente, ha copiato il grande maestro Clementi. Tutto qua. Può succedere.

Lo chiamano “plagio inconsapevole”, il nome scientifico è criptomnesia, una condizione psicologica che porta a considerare come originale e propria un’idea o una creazione altrui. Ci sono cascati in tanti. Persino l’ex Beatles George Harrison (con “My Sweet Lord”, brano fotocopia di “He’s So Fine” delle Chiffons) o i Beach Boys (“Surfin’ Usa” è il clone di “Sweet Little Sixteen” di Chuck Berry), per non parlare dei Led Zeppelin (in causa col bluesman Willie Dixon). Può succedere. Creare è divino, rubare è da artisti, plagiare è da uomini o da affaristi. «Signore ti giuro, è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista!».

di McGraffio

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