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Trent’anni fa usciva “Il Re Leone”

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E pensare che negli studi Disney prevaleva lo scetticismo. Poi bastò il trailer per capire che “Il Re Leone” sarebbe stato un successo.

Il Re Leone

Trent’anni fa usciva “Il Re Leone”

E pensare che negli studi Disney prevaleva lo scetticismo. Poi bastò il trailer per capire che “Il Re Leone” sarebbe stato un successo.

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Trent’anni fa usciva “Il Re Leone”

E pensare che negli studi Disney prevaleva lo scetticismo. Poi bastò il trailer per capire che “Il Re Leone” sarebbe stato un successo.

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E pensare che negli studi Disney prevaleva lo scetticismo. Poi bastò il trailer: l’alba assolata sulla savana e uno scorcio di “Cerchio della vita” per capire che sarebbe stato un successo. Anzi, l’apogeo di un modo di fare cinema. E trent’anni dopo l’uscita nelle sale – era il 15 giugno 1994 – “Il Re Leone” continua a fare scuola da assoluto capolavoro. Ancora oggi è il film di animazione tradizionale col maggiore incasso della storia (968,5 milioni di dollari). Ha esondato a Broadway, maestoso, fino a diventare il terzo spettacolo teatrale più rappresentato di sempre (10.437 volte). Ha ispirato sogni, personaggi iconici, favolistica moderna, giocattoli, videogame. E – va da sé – una pioggia di sequel e stiracchiamenti narrativi (altrettanto redditizi, artisticamente piatti) che ne continuano a perpetuare la vena d’oro. Ma di quelli non parleremo.

Per il 30esimo anniversario la Disney ha programmato una fitta serie di iniziative estive: edizioni speciali, appuntamenti a teatro, show nei parchi a tema. Di norma non è un trattamento riservato ai grandi classici della casa di Burbank. Eppure “Il Re Leone” vale bene un giubileo coi fiocchi. Il consenso è pressoché totale perfino nella sfilacciata attualità topoliniana (culture wars, crisi identitaria e al botteghino). Anzi: l’auspicio è che possa trasmetterle una nuova ventata di freschezza creativa. Perché Simba, Timon e Pumbaa non invecchiano mai. Né i suoni o le parole attorno a loro.

Il film vanta una potenza tridimensionale: musiche, animazioni, sceneggiatura. I caratteri del kolossal c’erano tutti, solo che all’epoca non si sapeva. Per realizzare 89 minuti di lungometraggio ci vollero cinque anni e oltre 600 addetti ai lavori. Un viaggio nei parchi naturali del Kenya ispirò l’ambientazione, gli animali reali in studio – leoncini, iene, suricati – le sembianze dei protagonisti. Ci fu un altro particolare determinante, che all’inizio venne preso per debolezza e invece si sarebbe rivelato pura forza: “Il Re Leone” è anche il primo classico Disney a contare su una storia originale. Si dice di orientamento un po’ biblico, con qualche riferimento preso dall’Amleto e altri dai miti tribali africani. Fatto sta che funzionò. E innescò una licenza poetica rigogliosa come la giungla in cui troverà rifugio Simba.

Superbo il cast di doppiatori (scelto su misura), su tutti Jeremy Irons per il malvagio Scar. Senza precedenti la colonna sonora: incoraggiata dai recenti successi di Alan Menken (“La Sirenetta”, “La Bella e la Bestia”, “Aladdin”) che però in questo caso non era disponibile, la produzione decise di scommettere su una popstarcome Elton John abbinata all’estro strumentale di Hans Zimmer. Il risultato, oltre a due premi Oscar, fu un brano da oltre 10 milioni di copie vendute negli Stati Uniti (altro record per un cartone animato). E un filotto di pezzi da antologia: siano essi cupi o pimpanti, epici o romantici.

Per il resto “Il Re Leone” continua a unire le generazioni perché ha un linguaggio universale e senza tempo. Insegna a scoprire, a illudersi, a elaborare i lutti, a innamorarsi. In una parola, a vivere. Getta nello sconforto (quanti pianti per Mufasa) e riporta alla comfort zone (Hakuna matata ne abbiamo?). Ma soprattutto, mette a nudo l’umana importanza di sbagliare. Come dice Rafiki a Simba sotto le stelle: «Oh sì, il passato può fare male. Ma dal passato puoi scappare, oppure imparare qualcosa». Benedette le botte in testa di un vecchio babbuino.

di Francesco Gottardi

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