Lodo Guenzi tra musica, cinema e politicamente corretto
Il frontman de Lo Stato Sociale Lodo Guenzi, prossimo al futuro da attore non certo improvvisato, si racconta senza lesinare critiche al mercato della musica
Lodo Guenzi tra musica, cinema e politicamente corretto
Il frontman de Lo Stato Sociale Lodo Guenzi, prossimo al futuro da attore non certo improvvisato, si racconta senza lesinare critiche al mercato della musica
Lodo Guenzi tra musica, cinema e politicamente corretto
Il frontman de Lo Stato Sociale Lodo Guenzi, prossimo al futuro da attore non certo improvvisato, si racconta senza lesinare critiche al mercato della musica
Il frontman de Lo Stato Sociale Lodo Guenzi, prossimo al futuro da attore non certo improvvisato, si racconta senza lesinare critiche al mercato della musica
Cantante, ma anche attore di cinema e di teatro. Lodo Guenzi è artista a tutto tondo ma non rinuncia a prendere posizione anche sui temi scomodi. Nei prossimi mesi il bolognese sarà protagonista di numerosi film per il grande schermo; tra questi troviamo “La California”, da ieri distribuito nelle sale da Officine Ubu. Nell’opera prima di Cinzia Bomoll interpreta Yuri il punk, sfoggiando una cresta piuttosto singolare. «Ci ho messo un po’ di tempo ad accettare la parte, perché non ero così d’accordo a farmi quella supercresta» ride il frontman de Lo Stato Sociale. «Ho visto che c’era tanta Emilia, c’era tanta fine del comunismo. È un film che ha molte storie. Contiene tre elementi che mi affascinano molto: il tema del doppio, l’angoscia sconfinata della provincia e la lunga argomentazione sul perché sia giusto ammazzare i fascisti».
Come Elodie, Emma e altri colleghi, anche Lodo Guenzi fa parte dell’elenco dei cantanti-attori. Ma non è certamente un improvvisato: «Per me è stato abbastanza fisiologico, ho fatto l’Accademia e mi è capitato per caso di avere una band. Per dieci anni ho realizzato il sogno di qualcun altro. Adesso tutto cambia, compreso il sogno. Sto realizzando alcuni desideri di quando avevo 18 anni, come andare in scena al Rossetti di Trieste, che frequentavo da ragazzino perché facevo l’Accademia di Udine. Per me allora era il desiderio di una vita. E se ora non lo è più, sia chiaro, è soltanto perché ho scoperto che sono altre le cose inarrivabili e quindi da raggiungere».
Tornando a Lo Stato Sociale, Guenzi non ha mai nascosto le sconfitte. Recentemente ha ammesso che la band si è fatta mangiare dal mercato: «Non mi riferivo solo a Lo Stato Sociale, ma alla sua generazione. Noi credevamo di dover fare dei numeri giganti fuori dal mercato, molto più grossi di quelli che in quel momento il mercato lo abitavano. E così era. Suonavamo nei Palasport nei momenti in cui chi era primo in classifica in radio non riempiva un club da cento persone. Facevamo tutto senza radio, senza tv, con i prezzi popolari, in autogestione. Per noi la vittoria era la somma tra numeri più grandi degli altri e un sistema produttivo più libero, fuori dal mercato. La seconda parte non è stata per niente recepita: chi è venuto ai Palasport dove suonavamo ha coltivato l’utopia di suonare nei Palasport, non di farlo in maniera diversa. Quando il mercato ha comprato tutti quanti, tutti quanti erano pronti a essere disponibili».
Guenzi è molto diretto nelle interviste e anche sui social network, nonostante l’immarcescibile politicamente corretto. Una moda abbastanza preoccupante a suo avviso, anche da un punto di vista meramente politico: «I più suscettibili, i più dogmatici tra ciò che è bene e ciò che è male, i più giustizialisti sono diventati quelli della mia parte, di sinistra. Hanno regalato alla destra anche la libertà di espressione, solo che lei non sa che farsene e chiama in tribunale gli scrittori». Una sinistra che secondo Guenzi ha perso la sua vera anima: «La sinistra esiste solo se metti in dubbio i rapporti di forza economici. Non esiste nell’universo nessuna categoria discriminata che puoi proteggere con parole carine e non mettendo in discussione i rapporti economici che in qualche maniera creano profitto sulla loro debolezza». Un Lodo senza filtri, senza compromessi.
Di Massimo Balsamo
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