L’Italia è un Paese ancora arretrato nel campo dei diritti civili tanto che si fa fatica a parlarne senza finire in polemica. Eppure i cataloghi delle principali piattaforme streaming (e non solo) non sembrano fare altro, dedicando parte della programmazione al mondo contemporaneo in tutte le sue sfumature.
Un strumento essenziale per portare avanti il difficile processo di integrazione, cominciato già alla fine degli anni ’60, quando la parola “gay” non esisteva nel vocabolario italiano e la soubrette Raffaella Carrà ne era un’icona.
Adattato in oltre dodici Paesi del mondo, “Drag Race Italia” vede protagoniste otto drag queen sfidarsi a colpi di spettacolari performance per aggiudicarsi il titolo di “America’s Next Drag Superstar” e un cospicuo montepremi. A giudicare le esibizioni saranno la drag queen Priscilla, l’attrice Chiara Francini e l’influencer Tommaso Zorzi.
Non si tratta però solo di lustrini, coreografie, paillettes e un trucco sopra le righe. Oltre all’estetica c’è molto di più: il programma, infatti, è un modo per far conoscere al grande pubblico una parte del mondo Lgbt, che spesso utilizza tali “maschere” come strumenti espressivi, come riparo dalla sofferenza o come percorso per scoprire la propria identità. È quella che RuPaul, creatore del format, chiama «the T» (la Verità), ossia un percorso, una storia, un vissuto che rende questo spettacolo davvero umano e autentico.
Il primo anno di programmazione in America, ovvero il 2009, la dice lunga su quanto il resto del mondo sia aperto alla volontà di far luce su un tema così importante prima ancora di tutti gli altri. Negli ultimi tempi, però, anche la televisione italiana sta mostrando sempre di più la sua intenzione di rappresentare un fenomeno di cambiamento enorme attraverso l’uso di temi e toni apparentemente leggeri.
La prima ad essere lungimirante da questo punto di vista è stata Maria De Filippi, che nel 2016 introdusse per la prima volta il rivoluzionario “Trono gay” all’interno del celebre programma di Canale 5 “Uomini e donne”, con l’intento di normalizzare tra il pubblico popolare ciò che “normale” dovrebbe essere considerato da tutti.
Ma è quest’anno che si è verificata una vera e propria svolta nella tv italiana, grazie alla presentazione della prima tronista transgender, fortemente voluta dalla “queen” della rete ammiraglia di Mediaset.
Il trono di Andrea Nicole Scavuzzo è rivoluzionario perché per la prima volta la transessualità non viene legata al punto di vista strettamente sessuale, ma è incentrata direttamente sui sentimenti. E così, mentre la ragazza prosegue la normale conoscenza con i suoi corteggiatori, la sua identità di genere passa in secondo piano e la televisione prende il posto della politica e fa un altro passo avanti verso il libero arbitrio.
Questo aspetto del mondo Lgbt non sembra essere contemplato dal mezzo televisivo classico e, ancora una volta, è lo streaming (assieme al cinema) a pareggiare i conti, riportando in auge film cult e dando vita serie televisive che spesso illustrano l’amore gay e lesbo meglio di qualsiasi altro prodotto mediale o editoriale.
Lo streaming plasma dunque nuovi modelli per un genere televisivo inclusivo. In un certo senso un’occasione mancata per la tv generalista che, a parte rari casi, sembra non avere più punti di incontro con i giovani, i quali hanno voglia di una televisione che li rappresenti e per questo si spostano su piattaforme come Netflix e Amazon Prime.
Nonostante ciò è bene ricordare che le rivoluzioni partono sempre dalle aule del Governo. Il mezzo televisivo non può essere che un tassello, uno spiraglio in più per far luce su temi poco conosciuti. C’è bisogno di capire il mondo arcobaleno anziché processarlo. E passare dall’intrattenimento risulta il modo più facile per arrivare al cuore e alla testa del pubblico.
Di Alessia Luceri
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