“Lo spartito della vita”, parla il regista Matthias Glasner
Intervista al regista Matthias Glasner attualmente in sala con “Lo spartito della vita”
“Lo spartito della vita”, parla il regista Matthias Glasner
Intervista al regista Matthias Glasner attualmente in sala con “Lo spartito della vita”
“Lo spartito della vita”, parla il regista Matthias Glasner
Intervista al regista Matthias Glasner attualmente in sala con “Lo spartito della vita”
Matthias Glasner arriva in sala con “Lo spartito della vita”, un film intimo che ha suscitato grande attenzione non soltanto perché ha vinto l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura alla 74esima edizione del Festival di Berlino, ma perché la famiglia Lunies (al centro di questa storia) lascia il segno. I coniugi Gerd e Lissy si trovano in una fase critica della vita: lui è affetto da demenza, lei è sofferente. Hanno due figli: Tom, un direttore d’orchestra ed Ellen, una ragazza che non trova pace. Regna sovrana la tristezza. «Ci sono persone che si svegliano la mattina e pensano: “Fantastico! Un nuovo giorno!” e altri che invece si svegliano e pensano con orrore che la vita va avanti» spiega il regista tedesco. «Io appartengo a quest’ultimo gruppo. Bisogna accettarlo e solo allora le cose migliorano».
L’accettazione è un tema importante del film. In una scena toccante Lissy si confronta con il figlio e ammette di non amarlo. Chiediamo al regista se abbia in qualche modo attinto alla sua esperienza personale. «Ho descritto il comportamento di mia madre per come l’ho vissuto. Non volevo criticarla, ma renderle giustizia nel modo più onesto. Lei lo ha ammesso: “Non potevo amarti”. Questo mi ha colpito».
Fra i membri della famiglia Lunies traspare una grande freddezza. Glasner ammette che molto spesso gli è capitato di non provare dolore rispetto a cose che ad altri avrebbero fatto male: «Una volta ho scritto una sceneggiatura a riguardo, intitolata “L’uomo che non prova nulla”. Nessuno ha voluto finanziarlo: c’erano poche speranze nel film. Sono cambiato con la nascita dei figli, ma non completamente. Penso spesso che dovrei mostrare più compassione, ma non ci riesco. E lo accetto. La negazione è sempre la cosa peggiore. Bisogna affrontare le proprie debolezze a testa alta, così almeno puoi lavorare per mitigarle».
Nel film il tema della paternità trasmette una bella energia e la figura di Gerd spicca nella trama. Glasner ci dice che il rapporto con suo padre era «molto buono. Era un anarchico nascosto sotto mentite spoglie borghesi. Non aveva paura che suo figlio potesse diventare troppo anticonformista per una società repressiva. Al contrario, si aspettava questo da me e io cerco di esaudire il suo desiderio».
Nel film tutto è orchestrato con una certa dose di sofferenza: quanto è importante conoscere il dolore per costruire opere di valore come questa? «La sofferenza mi è più vicina della felicità. Attraverso l’accettazione ho trovato leggerezza in questa sofferenza, che mi ha aiutato a provare gioia nello scrivere e girare il film. Credo che soffrire possa farci diventare esseri umani migliori. Oppure mostri». A un certo punto del film il figlio Tom parla di una “linea sottile”: quel confine in cui l’artista semplifica il suo lavoro perché sia più comprensibile, ma senza comprometterlo. Gli chiediamo se ci sia mai riuscito.
«Alla fine della sua carriera, Bergman disse di non essere mai riuscito a camminare su quella linea, come potrei farlo io? Un’opera d’arte non dev’essere troppo ‘appetitosa’, deve mettere alla prova e superare i confini». Quanto alla fase creativa, Glasner ammette di non amare la solitudine, «ma è l’unico stato in cui mi sento veramente a casa. Ecco perché mi sento a mio agio nel mondo del cinema. Mi permette di affrontare il mondo da solo in una sala buia. Essere soli è l’unica verità della vita. Tutto il resto è una piacevole illusione».
Un’altra tematica importante del film è quella del suicidio, che tiene inchiodati a una lunga riflessione. Aiuterebbe mai un amico se le chiedesse una mano per morire? «Non considero la vita un dono, piuttosto un peso. Nessuno ci ha mai chiesto se volessimo vivere su questa Terra. Quindi credo che, poiché non abbiamo avuto questa libertà, dovremmo almeno avere la libertà di lasciare la vita e questo pianeta quando non sopportiamo più di starci».
In questo film troviamo tutto: passione, vita, morte, paura, musica, tristezza, follia e molto altro. A riguardo si è espresso anche il regista e sceneggiatore britannico Terry Gilliam: «Tenete gli occhi aperti e le orecchie tese».
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- Tag: Cinema
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