Stairway to Heaven, i Settanta dei Led Zeppelin
“Stairway to Heaven”, celebre traccia di “Led Zeppelin IV”: un album uscito nel 1971, all’abbrivio di anni luccicanti e affollati (pur se segnati da terrorismo e stragi)
Stairway to Heaven, i Settanta dei Led Zeppelin
“Stairway to Heaven”, celebre traccia di “Led Zeppelin IV”: un album uscito nel 1971, all’abbrivio di anni luccicanti e affollati (pur se segnati da terrorismo e stragi)
Stairway to Heaven, i Settanta dei Led Zeppelin
“Stairway to Heaven”, celebre traccia di “Led Zeppelin IV”: un album uscito nel 1971, all’abbrivio di anni luccicanti e affollati (pur se segnati da terrorismo e stragi)
“Stairway to Heaven”, celebre traccia di “Led Zeppelin IV”: un album uscito nel 1971, all’abbrivio di anni luccicanti e affollati (pur se segnati da terrorismo e stragi)
There’s a sign on the wall è una locuzione idiomatica anglosassone che rimanda a un presagio nefasto. Origina da un passaggio del “Libro di Daniele” della Bibbia che ritroviamo in un quadro di Rembrandt (“Il convitto di Baldassarre”) e nel XIV canto dell’Inferno di Dante. I testi del progressive sono zeppi di suggestioni mistiche, compresa quella appena citata e contenuta in un verso di “Stairway to Heaven”, una delle tracce di “Led Zeppelin IV”. Un album uscito nel 1971, cioè all’abbrivio di anni luccicanti e affollati (pur se segnati da terrorismo e stragi) come lo furono soltanto quelli della Belle Époque (interrotti invece dai tre spari di Sarajevo).
A slalomare fra gli Anni di piombo è una creatività che si declina in tutte le arti, musica in testa. Musica che ha nel progressive anglosassone un florilegio che profuma di nuovo tutto il decennio. In “Stairway to Heaven” Jimmy Page si esibisce in un assolo definito da “Guitar World” «il migliore di tutti i tempi» e che nonostante una concorrenza assai agguerrita contribuirà all’assegnazione alla band britannica (di cui fanno parte anche Robert Plant, John Paul Jones e l’indimenticato Bonzo alias John Bonham) del Polar Music Prize, una sorta di Nobel della musica. Un riconoscimento che, nell’immaginario di molti, non impedisce comunque di far retrocedere anche di più posizioni la creatura di Plant-Page a fronte dei brani di Genesis, Yes, Gentle Giant, Pink Floyd, King Crimson, VDGG, CSN&Y, Traffic, EL&P, Jethro Tull, David Bowie, Lou Reed e quei Deep Purple considerati proprio con gli Zeppelin pionieri dell’hard rock e precursori dell’heavy metal.
È il periodo in cui – Deep Purplevid Hepworth nel suo “1971. L’anno d’oro del rock” – «le vendite di dischi crescevano così velocemente da impedire alle case discografiche di esercitare una qualsiasi forma di controllo». Un’onda tumultuosa che trova sponda in festival, concerti, stampa e radio, ingigantendosi e contaminandosi di altre spinte creative di stampo letterario, teatrale, cinematografico. Una creatività che non può trovare spazio nei solchi di uno stitico 45 giri e che ha quindi la sua naturale allocazione in quegli album che, con un tempo di ascolto dieci volte superiore, consentono di «sviluppare progetti prodotti da direttori artistici ed etichette che staccavano assegni in bianco, concedendo tutto il tempo necessario per maturare idee, scrivere e registrare» (Hepworth).
Orfano dei Beatles e con Bob Dylan in pausa di riflessione, il mondo giovanile della musica reagisce con proposte destinate a diventare un fenomeno culturale e commerciale «persino più importante dell’industria cinematografica di Hollywood», a detta di “Bbc Four” in un documentario dal significativo titolo di “When Albums Ruled the World”. Un’esplosione le cui schegge sono talmente numerose da scontentare tutti nell’identificazione di un (improbabile, in realtà) “brano dei brani”. Mi assumo quindi la responsabilità di assegnarlo a quella “Scala per il Paradiso” sui cui pioli volentieri metto spesso – ancora – i piedi. (E non solo io, credo).
di Pino Casamassima
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