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Tolleranti per generazione 

A distanza di mezzo secolo si scopre che vi era una generazione molto più tollerante sul tema delle libertà sessuali e dei diritti rispetto a quella attuale

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A distanza di mezzo secolo si scopre che vi era una generazione molto più tollerante sul tema delle libertà sessuali e dei diritti rispetto a quella attuale

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A distanza di mezzo secolo si scopre che vi era una generazione molto più tollerante sul tema delle libertà sessuali e dei diritti rispetto a quella attuale

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A distanza di mezzo secolo si scopre che vi era una generazione molto più tollerante sul tema delle libertà sessuali e dei diritti rispetto a quella attuale

Una volta a Francesco Guccini chiesero di Sanremo. Lui rispose così: «Non ho mai infilato piume di struzzo nel culo per cantare», riferendosi a una performance che gli avevano descritto. Poi il vate della canzone d’autore italiana aggiunse: «Il festival non lo guardo non per spocchia, ma perché non m’interessa». Di quella performance cui faceva riferimento Guccini si parlò assai proprio per la sua componente estetica, coerentemente con una contemporaneità che proprio nella forma ha la sua sostanza. Se per il Marino «è del poeta il fin la meraviglia», per il cantante sanremese la ‘meraviglia’ deve passare appunto per le suddette piume nel culo. E più ce ne sono, più se ne parla. Tutto ciò detto, ecco ora la dimostrazione di quanto in realtà sotto quel profilo non ci sia nulla di nuovo. Il nuovo (e non al meglio) sta altrove.

La rappresentazione estetica della musica ha avuto il suo abbrivio già col debutto degli anni Settanta, proseguendo con forme sempre più audaci e declinata in modo significativo anche in Italia, non solo per i travestimenti di Renato Zero – che tutti oggi rammentiamo perché più volte riproposti – ma anche per certe performance di Franco Battiato, che invece sono forse in pochi a ricordare perché l’immagine del guru del cantautorato italiano è stata poi ammantata da una patina culturale sempre più potente: tanto potente da cancellare il passato dei travestimenti. Travestimenti che attengono a un periodo precedente a quelli in cui le audiocassette blu de “La Voce del padrone” riempivano i cruscotti delle utilitarie e i mangianastri dalle riproduzioni terribili, da portare in spiaggia insieme a «vecchie bretoni con cappelli di carta di riso e canne di bambù». Un periodo che vide Battiato aderire a una provocazione escogitata da Gianni Sassi (ideatore anche della formidabile Cramps Records e di band come gli Area) per promuovere un’azienda di divani: truccato in modo assai pesante, con tanto di occhialoni da vamp di qualche diva del cinema, Battiato guardava nell’obbiettivo fotografico chiedendo «Che c’è da guardare?». Era il 1971 e “Fetus” (il suo primo album) sarebbe uscito solo un anno dopo. Un’immagine, quella di Battiato sprofondato su quel divano, che colpì per la sua potenza seduttiva sotto il profilo della novità, non certo per la curiosità pruriginosa sul suo orientamento sessuale. Alla sempre più esigua setta cantautorale dall’estetica monastica, con Guccini e De André capi chierici, corrispondeva la crescita esponenziale di esuberanze di vario genere e natura, senza però mai suggerire addentellati relativamente al gender. Dai Kiss ai NY Dolls, fino allo stesso Peter Gabriel dei Genesis, il travestimento faceva parte del ‘costume’ musicale.

A distanza di mezzo secolo o giù di lì, vorrei capire cosa sia successo, partendo dall’incontestabile dato di fatto che la mia è stata una generazione tollerante senza saperlo. Perché non c’interessava ‘l’altro’ che stava ‘oltre’ la musica. Poi sono arrivati i genderfluid e, per contrapposizione, l’omofobia. Ascoltavamo David Bowie e Lou Reed e non c’interessavano i loro orientamenti sessuali. Quando Boy George scese dall’aereo con una bambolina con un kimono come il suo, non c’interrogammo sul suo orientamento sessuale. Quando Jimmy Somerville raccontò la sua storia di ragazzo di una città piccola e bigotta, suscitò commozione, non altro. C’era Alyson Moyet, all’epoca decisamente sovrappeso, ma nessuno pensava che dovesse essere come Claudia Schiffer. Vorrei capire cos’è successo. Lo chiedo con sincera curiosità. Azzardo che forse eravamo più tolleranti, avendo come punto focale della tolleranza l’insegnamento di Karl Popper. Ovviamente senza sapere chi fosse Popper.

Di Pino Casamassima

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