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Il regno di Lebron James

Il regno di Lebron James

Lebron James è il miglior marcatore della storia della Nba ma il suo è un regno ventennale, che parte da lontano: il vero volto del basket americano

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Lebron James è il miglior marcatore della storia della Nba ma il suo è un regno ventennale, che parte da lontano: il vero volto del basket americano

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Lebron James è il miglior marcatore della storia della Nba ma il suo è un regno ventennale, che parte da lontano: il vero volto del basket americano

Il Re alla fine si è messo la corona sul capo. Il regno di Lebron James in realtà dura da 20 anni, da quando ha messo piede sui parquet Nba con la casacca dei Cleveland Cavs. Ora è il miglior marcatore nella storia della Nba, ha superato un totem come Kareem Abdul Jabbar, il simbolo (con Magic Johnson) dei Lakers dello Showtime degli anni ‘80. Presto arriverà a 40 mila punti, è già in testa a tutte le altre classifiche, gli manca solo di raggiungere ancora Jabbar anche nella classifica delle partite giocate, gliene mancano poco più di 150. Fin qui i numeri.

Lebron però va oltre, è il manifesto ventennale della Nba, è la fotografia di una lega che negli anni è cresciuta, si è allargata a Oriente, in Europa, in Australia. Una lega che fattura dieci miliardi di dollari annui. E’ il volto del basket americano, vende ancora più magliette di tutti, anche dei giovani fenomeni che gli crescono intorno.

Con il primato strappato a Jabbar si è compiuto il disegno, la traiettoria della sua leggendaria carriera, partita da un ghetto di Akron, Ohio, a un passo da Cleveland, senza conoscere il padre, con la mamma divisa tra più lavori per garantirgli pranzo e cena. Il basket è stata la sua arma per non vedersi più alle spalle morti, feriti, povertà. Una storia comune a tanti atleti afroamericani della lega. Ma Lebron è diverso, il suo talento è diverso. Due decenni a gestire la pressione del successo a tutti i costi, l’aspettativa, il peso degli haters sulle sue sconfitte, la freschezza delle nuove generazioni. E un patrimonio infinito, lievitato con il suo fiuto per gli affari che l’ha portato a creare marchi, agenzie di entertainment, siglare un contratto a vita con Nike da un miliardo di dollari.

C’è anche per lui l’altro lato della luna: una personalità debordante, una conoscenza del gioco così approfondita da annullare la distanza con l’allenatore di turno, depotenziato a piacimento, qualora non godesse della fiducia del Re, a cui la Nba ha anche dedicato un logo per il primato sfilato a Kareem.

LeBron e la Nba sono un riuscito caso di osmosi tra brand giganteschi che non si sono mai fatti concorrenza. LeBron è stato atteso e accolto come il Messia dalla Nba. Era già il potenziale padrone della lega mentre andava in diretta nazionale con la sua squadra del liceo e Sports Illustrated, la Bibbia dello sport americano, gli confezionava copertine su misura. Poi James è ulteriormente cresciuto e quando si è posto in prima fila sul tema razzismo, oppure nella sua attività sociale per garantire l’istruzione ai figli delle famiglie meno abbienti, la Nba l’ha appoggiato. Anche quando le scelte di James sono state assai discusse. Anche grazie a questa convivenza, la Nba è diventata un globetrotter che fattura tra i dieci e i 12 miliardi di dollari l’anno, lui invece è ben oltre il miliardo di dollari guadagnati in carriera.

Dunque, un predestinato. The Chosen One, poi The King, erede tecnico e mediatico di Michael Jordan, anche se James è di diversa specie rispetto a MJ, più uomo squadra, vincente con metodi meno verticali rispetto al 23 dei Bulls. Forse, come Jordan, presto avrà una squadra di proprietà, a Las Vegas forse, perché gli affari gli stanno a pennello, come la canotta su un campo da pallacanestro.

Il record strappato a Kareem è in ogni caso la ciliegina sulla torta dopo quattro anelli, nove finali Nba in fila tra il 2010 e il 2018 e la sfida, vinta nel 2016 con Cleveland sui Golden State Warriors di Steph Curry, Klay Thompson, Draymond Green, cioè la squadra più forte di sempre, assieme ai Bulls di Jordan. Ma è la storia vincente con Cleveland a collocarlo nel mito. Città conosciuta come The Mistake on the Lake, non esattamente ricca come New York o bella come Venezia o Napoli, ma che grazie al ritorno del Re nel 2014 ha visto generarsi sotto i suoi occhi un giro d’affari, solo per il ritorno, da 500 milioni di dollari e ha vinto il primo titolo Nba nella sua storia.

All’esterno della Quicken Loans Arena, il palazzetto dei Cavaliers, c’era lo slogan “We are all Witnesses”, ovvero “siamo tutti testimoni” dell’immensità di Lebron, una meravigliosa macchina di basket e dollari con un fisico da giocatore di football e con una cura maniacale del corpo. Forse non vincerà il titolo con i Lakers. Ma poche ore fa ha scritto l’ultimo grande capitolo della sua vita sul parquet. Aspettando poi tutto il resto. Imprenditore, proprietario di una squadra. Chissà, un potenziale candidato al Congresso.

di Nicola Sellitti

 

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