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Jackie Robinson

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Per noi europei è difficile comprendere cosa abbia rappresentato Jackie Robinson nella società statunitense degli anni Cinquanta

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Per noi europei è difficile comprendere cosa abbia rappresentato Jackie Robinson nella società statunitense degli anni Cinquanta

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Per noi europei è difficile comprendere cosa abbia rappresentato Jackie Robinson nella società statunitense degli anni Cinquanta

Per noi europei è difficile comprendere cosa abbia rappresentato Jackie Robinson nella società statunitense degli anni Cinquanta. Una premessa è fondamentale: negli Usa il baseball è molto più di uno sport. Non è assimilabile al calcio, che pur nel Vecchio Continente rappresenta una sorta di religione laica. Negli States il ‘batti e corri’ è parte integrante della crescita di ogni bambino. Come nel basket e nel football, sino al secondo dopoguerra la segregazione era rigidissima: i bianchi giocavano nelle Major (il campionato di massimo livello) mentre i neri erano confinati nei campionati Colored. Nel caso del baseball, si chiamava “Negro League”… ben lontana dal ‘vero’ baseball. Quello di Babe Ruth e Joe DiMaggio, per intenderci. Fino a lui.

Jackie Robinson era un fenomenale seconda base, ruolo tatticamente affascinante e delicato ieri come oggi. Ottimo battitore, era un fulmine in difesa, gambe d’acciaio abbinate a un occhio e riflessi che gli consentivano una reattività all’epoca ignota. ‘Rubava’ basi come nessuno. Si correva molto meno, soprattutto gli scatti e la potenza erano imparagonabili ai nostri giorni. Jackie Robinson rappresentava un balzo nel futuro. Lo sapevano tutti ma nessuno aveva il coraggio e soprattutto la volontà di sfidare la segregazione non codificata e granitica nello sport Usa. Fino ai leggendari Brooklyn Dodgers, che meriterebbero una pagina tutta per loro. Un libro, in verità.

Squadra popolare per eccellenza della popolare area di Brooklyn a New York, oggi sono i campioni del mondo della Major League Baseball (Mlb), solo che giocano a Los Angeles e sono di proprietà anche di un certo Earvin “Magic” Johnson. Proprio lui, la fenomenale stella dei Los Angeles Lakers, uno dei più forti giocatori di basket della storia. Il trasloco dei Dodgers da New York a Los Angeles nel 1958 è ancora una ferita non rimarginata in migliaia di famiglie che hanno tramandato un odio viscerale per quella scelta.

Nel 1947 il presidente dei Dodgers Branch Rickey decise di infischiarsene della segregazione e di mettere sotto contratto Jackie Robinson. Robinson fu accolto da puro odio e scherno su quasi tutti i ‘diamanti’ d’America. Unico nero in una marea bianca che in gran parte lo detestava senza nasconderlo. Ce la fece soltanto perché non era un fenomeno in campo: era un fenomeno e basta. L’America ci mise anni a far pace con questo fenomenale atleta, che con la sua storia contribuì a formare l’identità della comunità nera e a dare forza a una battaglia che da lì a pochi anni avrebbe scosso la società Usa.

Gli americani hanno la capacità di ricordare come nessuno i grandi della propria storia. L’omaggio riservato a Jackie Robinson è semplice e impareggiabile: la sua leggendaria casacca numero 42 è stata ritirata da tutte le squadre della Mlb. Nessuno la potrà mai più indossare, perché nessuno ne sarebbe degno. Ma nel Jackie Robinson Day, il 15 aprile di ogni anno, tutti possono indossarla in campo in suo onore

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