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Cosa insegna il tennis

L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Un grandissimo esempio, per molti aspetti

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Cosa insegna il tennis

L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Un grandissimo esempio, per molti aspetti

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Cosa insegna il tennis

L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Un grandissimo esempio, per molti aspetti

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L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Un grandissimo esempio, per molti aspetti

L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Questo vivere con agio il ruolo di “primi della classe”, non è una caratteristica peculiare di noi italiani. A ben vedere, abbiamo una presidente del Consiglio e una leader dell’opposizione che hanno amato presentarsi come underdog o invisibile, viviamo i nostri più importanti successi e traguardi come una grande sorpresa che facciamo al mondo e tanto per cominciare a noi stessi.

Possiamo limitarci a ricordare la stupefacente campagna vaccinale durante il Covid o il colpo di reni per entrare da subito nell’Euro. Il punto è che godiamo nel raccontarci proprio così: quelli dello stellone, della genialità sempre pronta a salvarci sull’orlo del precipizio, la comunità fatta di una somma di individualità.

Per chi non segue o non seguiva il Tennis, la dimensione dell’Italia oggi è quella propria degli Stati Uniti d’America al loro meglio, nelle ere segnate da John McEnroe, Andre Agassi e Pete Sampras. Nulla a che vedere con fenomeni che hanno fatto la storia di questo sport, come Federer o Djokovic, mai neppure lontanamente appoggiati da un movimento paragonabile al nostro di oggi.

Solo la programmazione e un intelligente utilizzo delle risorse a disposizione può aiutare a capire – al netto del talento – come si possa essere arrivati a questi risultati. Ci sono due realtà che vogliamo porre alla vostra attenzione: si è individuato un asset che potesse fungere da volano per l’intero movimento negli Internazionali di Roma. Questo ha generato un giro d’affari e d’attenzione da ridistribuire non a pioggia – pratica sempre inutile e pericolosa – ma in modo mirato. Eccoci alla seconda realtà: l’individuazione e il sostegno dei più meritevoli.

Nello sport è più facile, perché hai bisogno di chi sia in grado di vincere, ma il concetto di fondo ha un’applicazione generale: se vuoi competere ai massimi livelli internazionali, fare selezione non è una mancanza di riguardo per i meno dotati ma un obbligo morale nei confronti di chi può dare di più e sarà chiamato a sopportare le maggiori pressioni. Questo, a cascata, produrrà una maggiore disponibilità economica e di attenzione mediatica nei confronti di un intero movimento o settore.

Altro elemento è la demolizione della retorica secondo la quale si è “condannati” a far bene certe cose e meno altre. Nello sport, gli italiani sono i genialoidi che rendono affascinante l’anarchia ma nel tennis oggi siamo più tedeschi dei tedeschi e praticamente gli unici ad avere la fila per entrare nella Nazionale di Coppa Davis.

Pensiamo alla nostra industria e alla nostra manifattura: di Sinner ne abbiamo pochi, ma da primi 100 in classifica ancora tanti. Fanno faville le realtà coordinate e gestite con programmazione in stile… tennistico.

Vivono alla giornata o perdono il treno dell’internazionalizzazione quelle affette da un individualismo soffocante.

di Fulvio Giuliani

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