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Juventus, Thiago Motta esonerato: storia di un fallimento

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L’esonero di Thiago Motta con l’arrivo alla Juventus di Igor Tudor è la storia di un fallimento, senza mezzi termini

Thiago Motta

Juventus, Thiago Motta esonerato: storia di un fallimento

L’esonero di Thiago Motta con l’arrivo alla Juventus di Igor Tudor è la storia di un fallimento, senza mezzi termini

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Juventus, Thiago Motta esonerato: storia di un fallimento

L’esonero di Thiago Motta con l’arrivo alla Juventus di Igor Tudor è la storia di un fallimento, senza mezzi termini

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L’esonero di Thiago Motta con l’arrivo alla Juventus di Igor Tudor è la storia di un fallimento, senza mezzi termini. Qualcosa che avviene spesso nello sport. Anche se le premesse per un ciclo vincente c’erano tutte. Dal valore del tecnico al blasone e alla voglia di rivalsa della Juventus, che non vince da qualche anno. Ma poi ci si mettono i cosiddetti “intangibles”, quelle cose che non si possono toccare con mano: l’empatia, la chimica con l’ambiente che non scatta.

È un fallimento che ridimensiona, almeno per il momento, il talento di Thiago Motta. Non certo un tecnico di poco valore. Ma totalmente estraneo al microcosmo Juve dallo scorso luglio. E che soprattutto poco o nulla ha fatto per favorire il processo di osmosi con una serie di valori che da sempre connota la maglia bianconera. Rigore, sacrificio, il famoso motto “fino alla fine”, che non è quasi mai stato osservato dai calciatori juventini.

Il rapporto non è mai decollato. Motta è capace, ha una visione moderna del calcio, ma poco flessibile, a volte dogmatico e mai aperto finora a intestarsi il resoconto stagionale, che vede la Juventus in lotta per il quarto posto (è quinta, dietro al Bologna), poi fuori dalla Champions League ai sedicesimi di finale con l’onta dell’eliminazione in casa ai quarti di Coppa Italia dall’Empoli. E poi ci sono stati i sette gol incassati tra Atalanta e Fiorentina.

Non da Juventus, appunto. Motta non ha mai sposato il dna Juve e così sembra anche Cristiano Giuntoli, architetto del Napoli dello scudetto di due stagioni fa, che a Torino ha messo mano ai conti nell’era post Andrea Agnelli voluta da John Elkann, però sbagliando diversi acquisti. Anche lui sembra atterrato da Marte secondo il popolo bianconero. Empatia, appunto, feeling mai alimentato.

E anche la storia stagionale del Milan, dove pure c’è stato il cambio di allenatore (da Fonseca a Sergio Conceicao) mostra un po’ la stessa lezione: in Italia, forse più che in Europa si deve tenere conto anche del dna di un club nel processo di costruzione di un ciclo di lavoro. Non è solo questione di attaccanti o difensori, schemi o sistemi di gioco.

In Europa l’esempio più concreto sono il Bayern Monaco che non vince quando tradisce se stesso, la sua radice tedesca o il Barcellona, dove non si deroga da un certo modo di intendere il calcio.

di Nicola Sellitti

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