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Quello che (alcuni) calciatori non capiscono

La fine della storia – che per una brevissima stagione è sembrata una favola – fra la società azzurra e Khvicha Kvaratskhelia che ha deciso di andar via dal Napoli

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Quello che (alcuni) calciatori non capiscono

La fine della storia – che per una brevissima stagione è sembrata una favola – fra la società azzurra e Khvicha Kvaratskhelia che ha deciso di andar via dal Napoli

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Quello che (alcuni) calciatori non capiscono

La fine della storia – che per una brevissima stagione è sembrata una favola – fra la società azzurra e Khvicha Kvaratskhelia che ha deciso di andar via dal Napoli

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La fine della storia – che per una brevissima stagione è sembrata una favola – fra la società azzurra e Khvicha Kvaratskhelia che ha deciso di andar via dal Napoli

Scrivo da tifoso dichiarato del Napoli e anche da inguaribile romantico del pallone. Disclosure fondamentale, nel momento in cui ho scelto di dedicare qualche riga alla fine della storia – che per una brevissima stagione è sembrata una favola – fra la società azzurra e Khvicha Kvaratskhelia.

Il talentuoso giocatore georgiano, scoperto nei bassifondi del calcio europeo dagli azzurri, ha chiesto di essere ceduto, scatenando le ire della piazza e soprattutto del tecnico Antonio Conte che in estate si era speso per trattenerlo a Napoli.

Andrà probabilmente al Paris Saint-Germain, in cambio di una sontuosa cifra o di tanti soldi e giocatori. Questo ci interessa poco, non essendo né esperti, tantomeno appassionati di quella telenovela che è diventato il calciomercato.

Un mondo a parte, detto per inciso, che non ha nulla a che vedere con lo sport in nessuna sua forma ed è palestra per ego ipertrofici e giornalisti pratici in contatti con procuratori e neologismi (ormai gli esperti di questo fumoso settore parlano uno slang tutto loro e appaiono pure felici di far strage della grammatica italiana).

Cosa non ha capito il georgiano Kvaratskhelia? Non ha capito che i soldi sono una dimensione fondamentale della carriera di un grande calciatore, misura del suo talento e del suo successo (nonché dell’abilità di chi lo rappresenta). Eppure, a dispetto di tutti i soloni del ‘mercato’, di procuratori con cravattoni anni ‘90 e altri strani soggetti, nessuno di questi ragazzi verrà ricordato in virtù del contratto firmato.

Questa è una legge implacabile dello sport: la traccia che lascerai non ha nulla a che vedere con la ricchezza dei tuoi contratti e la pletora di procuratori, manager, sanguisughe che ti ronzano intorno.

Parigi è una scelta indiscutibile per certi aspetti, ma se sei un ragazzo venuto fuori dal nulla (magari un po’ di riconoscenza non guasterebbe) e sei diventato l’idolo, l’ispiratore di un luogo che ha visto il meglio del più grande di ogni epoca dovresti avere la capacità di fermarti e riflettere. Dove vado? Per cosa vado? Per cosa sarò ricordato?

Due esempi per provare a spiegare: mi sono imbattuto in uno splendido documentario sui tennisti Arthur Ashe e Billie Jean King, due atleti fenomenali che nell’intera carriera avranno guadagnato una frazione di quello che il georgiano potrà guadagnare con il solo contratto francese. Solo che quei due signori lottarono per qualcosa di immensamente più grande delle coppe e sono dei miti.

Ho avuto l’enorme fortuna e il privilegio di conoscere bene José Altafini, un calciatore che ha giocato e vinto un Mondiale con Pelé. Pelé.

Mi raccontava con gli occhi lucidi – quarant’anni dopo – le emozioni legate ai suoi anni napoletani, in cui non vinse… nulla. Ogni volta che tornava era una festa, anche decenni dopo.

C’è ancora qualcuno nelle corti dei miracoli che seguono questi ragazzi capaci di spiegare qualcosa ed interessarsi realmente al loro futuro? Consentiteci di coltivare qualche dubbio.

di Fulvio Giuliani

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