L’edizione della Coppa del Mondo che resterà nella storia
Questa inedita edizione invernale della Coppa del Mondo non passerà sottotraccia
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L’edizione della Coppa del Mondo che resterà nella storia
Questa inedita edizione invernale della Coppa del Mondo non passerà sottotraccia
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L’edizione della Coppa del Mondo che resterà nella storia
Questa inedita edizione invernale della Coppa del Mondo non passerà sottotraccia
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Questa inedita edizione invernale della Coppa del Mondo non passerà sottotraccia
Nello sport e nella vita, è spesso questione di timing. Era scritto così, a volte è impossibile opporsi al destino. L’incoronazione di Messi nella partita più bella della storia dei Mondiali. La Pulce campione davanti alla tripletta di Mbappè, entrambe stelle del Paris Saint Germain di proprietà dei qatarioti. Come è ampiamente chiaro a tutti, alla Fifa e al Qatar è andata davvero di lusso. Questa inedita edizione invernale della Coppa del Mondo non passerà sottotraccia.
E se ora è il momento delle celebrazioni, con incassi superiori ai 7,5 miliardi di dollari per la Fifa, l’elenco dei punti neri di questo mese scarso di calcio non è certamente di poco conto. Ovviamente l’attualità impone di tener conto del Qatargate, dei pacchi di soldi riversati sulla politica connivente per sostenere la causa di Doha, nello scandalo che sta rovinando l’immagine dell’Unione europea. Le tangenti commissionate nelle buste con l’immagine di Babbo Natale, per restare solo alla “questione italiana”, che coinvolge Panzeri e Visentini, il capo del sindacato europeo. Una vicenda vergognosa. E si è solo all’inizio di un percorso lungo e doloroso.
Andando solo un attimo oltre il Qatargate, restano alcune cartoline dai Mondiali che, se fosse possibile, andrebbero fatte in mille pezzi. Tipo come quella di Nasser Al Khater, l’amministratore delegato dei Mondiali, che non si è minimamente scomposto dinanzi all’ennesima misteriosa morte sul lavoro durante il torneo – un filippino deceduto al resort training dell’Arabia Saudita – spiegando alla stampa che la morte è un fatto naturale. In sostanza, che importasse poco di un’altra vittima sul lavoro. Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, forse ha fatto anche peggio, aggiungendo che il calcio avesse la precedenza sui diritti umani, mettendo anche in discussione anche il numero complessivo dei migranti morti sui cantieri, che sono stati oltre 6500, come documentato da ong, da inchieste serie come quelle di The Guardian. Questa è una pagina nera, perché ha evidenziato ancora di più l’onnipotenza e la voracità di potere della Fifa, consapevole che il Qatar in questo momento è un partner strategico, almeno a livello energetico, decisivo a livello mondiale.
Un altro buco nero è rappresentato dalla censura preventiva della Fifa alla campagna One Love, a sostegno della comunità omosessuale vessata in Qatar: quella fascia arcobaleno che i capitani di alcune nazionali europee avrebbero dovuto indossare, invece subito riposta alle prime minacce di punizioni, tra cartellini gialli e potenziali penalizzazioni. Non è stato un autogol, di più: il segnale che il potere di Infantino e i qatarioti era infinito, che la strada era libera, nessuno avrebbe più ostacolato il manovratore.
E se non ha lasciato una sensazione gradevole neppure Messi con il Bisht, con la tunica araba – solitamente indossata da sovrani e capi tribù -, ricordando che anche la Pulce è testimonial per il ministero del turismo dell’Arabia Saudita, che non è esattamente un paese amico del Qatar, c’è un capitolo anche per alcuni frame di portata storica. I calciatori della nazionale iraniana che restano in silenzio durante l’esecuzione dell’inno: questa è la cartolina meglio riuscita dei Mondiali. Vetta irraggiungibile per forza e coraggio.
Nei giorni successivi al boicottaggio silenzioso dell’inno, in Iran è stato arrestato un ex calciatore della nazionale, Voria Ghafouri, 35 anni, ex nazionale, accusato di propaganda contro lo stato. Un altro, Amir Nasr Azadani, che ha giocato nella massima serie iraniana, è stato condannato a morte. Entrambi avevano sostenuto le manifestazioni di dissenso verso il regime di Teheran. Alcuni degli iraniani ai Mondiali si sono schierati contro la condanna a morte di Azadani, per ora senza ottenere alcun risultato.
Ci è voluto coraggio. Lo hanno mostrato anche i tedeschi, che dopo la censura della Fifa alla campagna One Love, prima della gara con il Giappone hanno fatto la foto di gruppo con la mano portata alla bocca. Un gesto forte, sostenuto dalla federcalcio tedesca, sebbene Berlino intrecci intense relazioni commerciali con Doha. L’ultimo accordo sul gas liquido con il colosso Qatar Energy. C’è dentro tanta realpolitik, ma non la silenziosa obbedienza. Un compromesso labile e complesso: si fanno affari, ma ci si schiera senza condizionamenti sul tema dei diritti umani.
Poi, c’è il Marocco, la cavalcata dal Nordafrica, la storia meravigliosa di un gruppo di calciatori che per emergere si è formato all’estero – 14 atleti nella rosa dei Mondiali -, che avrebbero potuto scegliere di giocare con un’altra maglia. C’è stato l’anarchico di talento Ziyech che non ha mai incassato il gettone di presenza dalla federcalcio – donando sempre i soldi alle famiglie più povere in Marocco – all’ex interista (ora al Psg e grande amico di Mbappè) Hakimi, cresciuto in Spagna al Real Madrid, che corre in tribuna a baciare la mamma, emigrata con il marito dal Marocco alla Spagna per il futuro dei figli.
Infine, ancora su Messi, sul incoronato: gira sui social il video delle parole pronunciate dalla Pulce prima del rigore decisivo di Montiel, che poi ha consegnato la coppa ai sudamericani: “Vamos Diego, desde El Ciel”. Il più forte di sempre che chiede aiuto al suo Dio. Al Dio del calcio.
Di Nicola Sellitti
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