Inter-Salernitana, domenica, ore 12:30. Dal momento che Milano non si trova in nessuno dei due circoli polari artici, né in Norvegia, gode della luce del sole che bacia i tifosi della Curva Nord, che hanno addirittura un po’ caldo. Il manto erboso si vede perfettamente, così come le azioni e la palla che rotola. Eppure, i riflettori di San Siro sono accesi.
In linea di massima uno stadio può consumare fino a 20.000 kWh a partita. Per intenderci: l’energia sufficiente a far funzionare circa dieci case per un anno intero, fermo restando che gran parte dei consumi viene generata proprio dall’illuminazione.
Vivere una partita allo stadio è un po’ come stare fuori dal mondo, ma dimenticarsi del caro bollette che ogni giorno morde alle caviglie di famiglie e imprese, è da iperuranio. E in effetti, non sono i club a scegliere di di tenere accesi dei riflettori inutili. Questa mossa sarebbe controproducente anche da un punto di vista economico, visti gli ingenti costi. È il protocollo della Lega Serie A a prevedere che i riflettori restino accesi durante le partite, senza fare distinzione tra giorno e notte, luce e buio.
Ciò significa che lo scenario si verifica su ogni campo della massima serie. E il fatto che questo accada anche a Milano, dove il sindaco Beppe Sala ha appena annunciato la riduzione dell’illuminazione stradale di un’ora – nonostante i problemi di sicurezza pubblica ormai noti alle cronache – fa ancora più rumore.
Basterebbe cambiare il regolamento e adattarlo repentinamente alla realtà. Ma l’elasticità non è una prerogativa della burocrazia italiana, neanche nella terra del pallone. Quindi si continua a divorare energia come se nulla fosse.
Vizi da Prima Repubblica, nell’era della sostenibilità. Gli aggettivi che spesso vengono affiancati a questa parola (“ambientale”, “ecologica” , “economica”) spostano l’attenzione dal sostantivo. Ma la sostenibilità è, ed è sempre stata, un approccio mentale prima che pratico: qualsiasi azione ha delle conseguenze, utilizzare risorse che non sono nella propria disponibilità, per lo più senza che sia necessario, genera danni. Per questo bisogna compiere azioni che il soggetto possa davvero sostenere, senza inficiare su altro, ché sarebbe troppo facile. Un concetto simile alla meritocrazia, questa è la sostenibilità.
Ed è ora che la burocrazia diventi snella e si adatti alla realtà: non ci si può permettere di sprecare più nulla. Neanche il tempo.
Di Giovanni Palmisano
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