Il rovescio di Federer e l’esempio che resterà nella storia
Il rovescio di Federer e l’esempio che resterà nella storia
Il rovescio di Federer e l’esempio che resterà nella storia
Dobbiamo distinguere i due piani. Da un lato un annuncio che al più è una certificazione, perché l’addio del più grande di ogni epoca del tennis – sì, ci sbilanciamo in questo giudizio, pur consapevoli dell’impossibilità dei paragoni fra ere diverse – si era di fatto consumato da tempo. L’ultima vera partita, il passo d’addio degno di Roger Federer, resterà per sempre la sublime finale persa contro Nole Djokovic a Wimbledon nel 2019. Al contempo, l’ufficializzazione di una realtà con cui gli sportivi di tutto il mondo sapevano di dover prima o poi fare i conti resta pur sempre una faccenda diversa. Un momento di distacco da quei rarissimi campioni in grado di valicare confini, discipline e sentimenti.
Nei prossimi giorni sarete sommersi dai numeri di una carriera senza eguali ma nessun palmarès, per quanto impressionante e irripetibile, potrà mai valere la sensazione di avere assistito all’incarnazione dell’idea stessa di uno sport in un singolo atleta.
Non siamo dei tecnici ma possiamo ben definire il rovescio di Roger Federer un gesto artistico, non agonistico. È Claude Monet che dipinge le ninfee, Marcel Proust che trova l’incipit de “La Recherche”, Steven Spielberg che immagina la bambina col cappottino rosso in “Schindler’s List”. Capolavori che nessuno si sognerebbe di chiudere in uno schema o nei confini di una disciplina.
Roger Federer obbliga con la poeticità dei suoi gesti a porsi domande che non sono patrimonio esclusivo degli appassionati di tennis: cosa ha reso questo campione un fenomeno a parte? La personalità e il carisma, senza dubbio, ma nulla che non si fosse già visto o che possa essere considerato patrimonio esclusivo del fenomeno svizzero. The King non ha conquistato il palcoscenico mondiale con una vita da romanzo, come avvenuto per sublimi interpreti di altri sport che sembravano usciti direttamente dalla sceneggiatura di un film. A dirla tutta, la sua vita privata è sin troppo perfetta per essere accostata a quella di un artista, men che meno maledetto.
L’unica risposta che abbiamo la forza di azzardare è la bellezza. Veder giocare Roger Federer ha significato godere del bello senza tempo. Un dono che va oltre l’emozione sportiva. Alla bellezza, poi, per un’intera carriera Roger ha saputo affiancare una signorilità intima e non affettata. Quella che un tempo si chiamava “buona educazione”, merce sempre più rara. Come possa praticamente non aver mai sbagliato un gesto in pubblico è uno dei misteri che accompagna la fine della sua carriera.
Sapevamo tutti che sarebbe esistito un tennis prima di lui e un altro dopo, egualmente affascinante ma diverso. La diversità e unicità di chi nasce per fare qualcosa come nessun altro prima di lui accetta la responsabilità del suo destino e l’onora fino in fondo.
Di Diego de la VegaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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