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Sinner è l’immortale esempio di Italia-Brasile

La ‘sconfitta’ di Sinner contro Jannik, esattamente quarant’anni fa l’Italia batteva il Brasile.
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Sinner è l’immortale esempio di Italia-Brasile

La ‘sconfitta’ di Sinner contro Jannik, esattamente quarant’anni fa l’Italia batteva il Brasile.
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Sinner è l’immortale esempio di Italia-Brasile

La ‘sconfitta’ di Sinner contro Jannik, esattamente quarant’anni fa l’Italia batteva il Brasile.
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La ‘sconfitta’ di Sinner contro Jannik, esattamente quarant’anni fa l’Italia batteva il Brasile.
Queste righe mi sono state ‘suggerite’ da un collega, che mi chiedeva divertito dove fosse la notizia, in caso di sconfitta di Jannik Sinner contro Nole Diokovic a Wimbledon. Domanda fatta all’inizio del quinto set, poi perso dall’azzurro contro il campione serbo. Certo che c’è la notizia, se un ragazzo di vent’anni sfiora le semifinali del più grande torneo al mondo, salendo fino a due set a zero sull’uomo che a Wimbledon ha vinto sei volte. Sei. Non è tanto la statistica dell’ovvio a imporsi, però, quanto una curiosa coincidenza: Sinner ieri si è trovato faccia a faccia con uno dei suoi maestri, già fenomeno e vincitore sull’erba di Church Road quando Jannik era alle elementari. Sinner farà tesoro di questa sconfitta bruciante e continuerà a coltivare il suo magnifico futuro. Passando dal confronto e dalle lezioni. Esattamente quarant’anni prima del pomeriggio dell’alto atesino sul centrale di Wimbledon, l’Italia del calcio viveva la sua giornata più bella, al cospetto di un altro maestro: il Brasile. Nel giorno che consegnò Paolo Rossi alla storia del Paese, chi c’era – chi ebbe l’immensa fortuna di esserci davanti al televisore, per non parlare di chi riuscì a entrare al Sarrià di Barcellona – non seguì solo una partita di pallone, fu parte di un romanzo che ancora oggi sorprende alla 100ª lettura. Affrontammo una leggenda, una squadra che ancora oggi tutti noi ricordiamo per buona parte dei suoi titolari senza fatica. Erano troppo forti e belli da vedere per poter essere battuti. Semplicemente persero. Perché Pablito aveva un appuntamento con la Storia e il calcio aveva deciso di raccontare – grazie a lui – una delle favole più belle mai narrate su un campo da pallone. La lezione di quel lontano pomeriggio: nulla è realmente impossibile, a patto di saper sacrificare l’interesse personale per un obiettivo più grande e di essere disposti a cercare il proprio limite per riconoscerlo. Senza farne un dramma, senza nasconderlo, renderlo stimolo per andare oltre. Erano troppo forti per noi e questo finì per perderli. Ancora oggi, ripensando a difensori che giocavano come dei “10” alla Junior, alla classe ineguagliata di Socrates – un uomo chiamato come un filosofo e che di filosofia amava parlare, laureato in medicina e politico sognatore – bello in campo come un Dio di quella Grecia di cui portava il nome, alla classe naturale e indifferente di Falcao, a Zico secondo solo a Pelé, viene da pensare che ci volle qualcosa di soprannaturale per vincere. Nulla di inspiegabile, però, “solo” un gruppo che non avremmo mai più rivisto e arrivato a piena maturazione e consapevolezza. Forgiato dall’esempio di campioni che ancora oggi ricordiamo con affetto e deferenza. Sinner è venuto al mondo vent’anni dopo quel giorno, è figlio di un’altra epoca e forse avrà letto degli Azzurri dell’82 in qualche libro. Quello che vale per lui – per tutti – e non invecchierà mai è la scuola della vita e dell’esempio. Di Fulvio Giuliani

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