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Sinner, resta il tabù Medvedev

Ci sono partite che vanno vinte e Sinner non ce l’ha fatta, sconfitto dal campione Medved nella finale di Master 1000

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Sinner, resta il tabù Medvedev

Ci sono partite che vanno vinte e Sinner non ce l’ha fatta, sconfitto dal campione Medved nella finale di Master 1000

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Ci sono partite che vanno vinte e Sinner non ce l’ha fatta, sconfitto dal campione Medved nella finale di Master 1000

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Ci sono partite che vanno vinte e Sinner non ce l’ha fatta, sconfitto dal campione Medved nella finale di Master 1000

La delusione c’è. E’ inevitabile. Non è arrivato il successo che l’Italia attendeva da un pezzo. Forse quello più atteso, di sicuro importante per il tennis azzurro degli ultimi decenni, dalla doppietta Internazionali di Roma-Roland Garros di Adriano Panatta nel 1976. Non è eccessivo: alla carriera, sinora in ogni caso in decollo, di Jannik Sinner serviva un colpo di acceleratore in termini di vittorie che pesano davvero.

Perché i campioni sono tali nel palmares: ci sono partite che vanno vinte. Jannik non ci è riuscito, non solo per il fisico che non ha risposto alla fatica dei giorni e del caldo asfissiante. E’ entrato in partita in punta di piedi e ci è rimasto in tutto il primo set, perduto senza mai trovare il ritmo, andando anche peggio nel secondo set. Le gambe stavolta non giravano, hanno vinto i crampi, ma la forza mentale ammirata con Alcaraz è andata smarrita.

Il tennista italiano ha perso una partita importante, non solo perché l’unico successo italiano nei Master 1000 è del 2019, nella settimana da sogno di Fabio Fognini a Montecarlo. In mezzo c’è stata anche la finale dello stesso Sinner a Miami nel 2021 e di Matteo Berrettini a Wimbledon lo scorso anno ma in quel caso l’avversario – Nole Djokovic – era uno di quelli che lasciava poche speranze di trionfo.

La delusione è fisiologica. Anche se l’avversario era di quelli veri, quelli abituati a vincere, un top ten da una vita, vincitore di tornei del Grand Slam. Uno scoglio assai impegnativo, 48 ore dopo il trionfo su Alcaraz. Il russo poi è un geniaccio irriverente, che accende e spegne a piacimento, capace di addormentare il gioco, per poi destarsi e mettere la palla sulle righe. La forza mentale è stata sempre il suo limite, assieme all’incapacità di restare a lungo dentro le pieghe della partita. Un ex numero uno al mondo che viene da un 2022 assai negativo ma che è ripartito a febbraio vincendo tornei tipo Rotterdam (in finale su Jannik), perdendo a Indian Wells solo con Alcaraz, tornando così tra i primi dieci al mondo. Forse la Florida l’ha ispirato, passaggi a vuoto se ne sono visti pochi. E ha vinto. Con merito. Ora nella vetrinetta dei trofei ci sono tutti i tornei americani all’aperto, Indian Wells, Miami, Cincinnati, Toronto, lo US Open. Mica poco.

La sconfitta resterà indigesta a lungo a Sinner. Anche perché i due non si sono mai fiutati troppo, non c’era certo l’alchimia mostrata da Sinner e Alcaraz in semifinale e non per il bilancio (5-0) a favore del russo. Medvedev mostrò tutto il suo stile alle Finals di Torino, sbadigliando in faccia a Sinner durante il cambio campo di una partita ininfluente per il risultato (Sinner giocò come riserva) con l’italiano che di sicuro è rimasto nei circuiti dell’italiano.

In ogni caso, il tennis internazionale vede definirsi un nuovo assetto che solo la stagione sul rosso e poi sull’erba potrà ridefinire o confermare, un nuovo poker d’assi al vertice: Djokovic, ovviamente Alcaraz, poi Medvedev, poi c’è Jannik, che è in seconda fila ma con mire sulla pole position, ma che deve ancora mettere benzina nel motore e risolvere qualche taboo, soprattutto fisico. Al tavolo potrebbe tornare a sedersi Rafa Nadal, malconcio, ai box da qualche settimana. Tornerà anche lui, appena si avvicinerà il Roland Garros.

di Nicola Sellitti

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