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45 anni fa nasceva Pac-man

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Il 10 maggio 1980 fece la sua prima comparsa sul mercato qualcosa destinato a diventare un’icona nella storia dei videogiochi: Pac-Man

Pac-man

45 anni fa nasceva Pac-man

Il 10 maggio 1980 fece la sua prima comparsa sul mercato qualcosa destinato a diventare un’icona nella storia dei videogiochi: Pac-Man

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45 anni fa nasceva Pac-man

Il 10 maggio 1980 fece la sua prima comparsa sul mercato qualcosa destinato a diventare un’icona nella storia dei videogiochi: Pac-Man

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Se non fosse stato per un trancio di pizza, questa storia non esisterebbe. E invece è quella la ragione per cui – 45 anni fa, il 10 maggio 1980 – fece la sua prima comparsa sul mercato qualcosa destinato a diventare un’icona nella storia dei videogiochi: Pac-Man. Capace di attraversare decenni e culture restando sempre riconoscibile, familiare e irresistibile. Nato dall’intuizione del designer giapponese Tōru Iwatani, Pac-Man introdusse un modo di giocare completamente nuovo. Lontano dai paradigmi bellici in voga all’epoca e concepito per essere accessibile anche a donne e bambini, in un esercizio di inclusività veramente all’avanguardia.

Nel cuore creativo di Iwatani c’era un’idea tanto semplice quanto universale: il cibo. Secondo la leggenda, fu appunto una pizza con una fetta in meno a suggerire la forma del protagonista: una pallina gialla con la bocca spalancata. Un’immagine immediatamente comprensibile che conquistò milioni di appassionati in tutto il mondo. L’obiettivo del gioco è rimasto invariato negli anni: attraversare labirinti colorati divorando pallini ed evitando fantasmi dai nomi e comportamenti distinti (Blinky, Pinky, Inky e Clyde) il cui movimento apparentemente casuale è frutto di un’intelligenza artificiale raffinata per l’epoca. Ogni fantasma ha una propria ‘personalità’, contribuendo a rendere l’esperienza di gioco più imprevedibile e coinvolgente. Un sistema che ancora oggi viene studiato per la sua sorprendente efficacia.

Ma Pac-Man non è stato soltanto un colossale successo commerciale (secondo al mondo con i suoi circa 400mila cabinati venduti e primo con oltre 2,5 miliardi di dollari di incassi soltanto negli Usa, secondo il “Guinness World Records”). È stato anche un fenomeno culturale in grado di scatenare una vera febbre collettiva, al punto che negli anni Ottanta nella città americana di Des Plaines (Illinois) furono addirittura vietati i videogiochi ai minori di 21 anni a meno che non fossero accompagnati dai genitori. Da allora la forma inconfondibile di Pac-Man è apparsa ovunque: su tazze, felpe, poster, spot pubblicitari e opere d’arte. E non è un caso che il MoMA di New York abbia scelto di esporre l’iconica silhouette nella sua collezione permanente dedicata al design.

Pac-Man è anche qualcosa di più profondo: una metafora della società contemporanea. Sempre di corsa, sempre affamati di premi, sempre inseguiti da qualcosa. Quel mondo fatto di labirinti infiniti è una rappresentazione ironica e lucida del nostro quotidiano, fra desideri da soddisfare e pericoli da evitare. Un parallelismo talmente evidente che qualcuno ha persino definito il gioco una versione in pixel del capitalismo moderno. Una corsa al profitto dalla quale paradossalmente l’unico escluso è stato proprio il creatore del gioco, che non ricevette mai alcun compenso extra per la propria intuizione. L’ultima partecipazione diretta di Iwatani alla saga risale al 2007, con “Pac-Man Championship Edition”, il suo saluto finale alla creatura che aveva contribuito a plasmare.

Oggi Pac-Man è ancora tra noi e non solo su console, smartphone e dispositivi vari. Per molti è stato il primo videogioco in assoluto, la porta d’ingresso in un universo interattivo che non avrebbe mai smesso di evolversi. In un mondo che viaggia veloce, la sua maratona senza fine nei labirinti continua a ricordarci quanto possano essere potenti le idee semplici, soprattutto quando riescono a parlare a tutti. Anche a noi che, proprio come Pac-Man, non riusciamo a smettere di correre.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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