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Confessioni di un moderatore di TikTok

TikTok profila i suoi utenti con gradi inquietanti di precisione. Tuttavia cos’è davvero, vista da dentro, la creatura di ByteDance?

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Confessioni di un moderatore di TikTok

TikTok profila i suoi utenti con gradi inquietanti di precisione. Tuttavia cos’è davvero, vista da dentro, la creatura di ByteDance?

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TikTok profila i suoi utenti con gradi inquietanti di precisione. Tuttavia cos’è davvero, vista da dentro, la creatura di ByteDance?

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TikTok profila i suoi utenti con gradi inquietanti di precisione. Tuttavia cos’è davvero, vista da dentro, la creatura di ByteDance?

Tutti usano TikTok, il social network di cui l’ex presidente statunitense Joe Biden ottenne l’oscuramento grazie anche ai voti dei repubblicani. E che Donald Trump ha graziato con l’obiettivo di acquisirne il controllo (seppur anche lui, prima di Biden, voleva chiuderlo). Entrambi infatti ne hanno colto l’importanza e la pericolosità, specialmente perché è usato come principale canale informativo dalle generazioni più giovani. Una potenziale macchina di radicalizzazione, nonché di sicura disinformazione, nelle mani di ogni cittadino. E il problema di sicurezza è a due direzioni, perché TikTok – come ogni social – profila i suoi utenti con gradi inquietanti di precisione. Tuttavia cos’è davvero, vista da dentro, la creatura di ByteDance? Chi ha lavorato per la società forse può spiegarlo meglio.

«Ero già impiegato da anni in questa grande azienda che offre servizi di customer care a compagnie terze, quando mi è stato proposto di lavorare per il “progetto TikTok”’» racconta un ex impiegato. D’ora in poi sarà indicato come D.B.. «Difficilmente questi grandissimi colossi gestiscono tutto a livello interno, anche perché sarebbe impossibile per loro assumere ‘a fisarmonica’ persone nei momenti di maggiore traffico. Così esistono enti terzi che, gestendo molti contratti diversi, possono spostare facilmente anche centinaia di operatori come me da un cliente a un altro. A seconda del bisogno».

Ha lavorato per loro come content moderator per poco più di quattro anni. «Il mio lavoro consisteva principalmente nel controllare la marea di video degli utenti che ci venivano presentati in code da smaltire secondo obiettivi di produttività. Un geyser da cui uscivano continuamente filmati di 15 secondi» racconta l’ex interno. «Dovevamo verificare se i video seguissero le linee guida dell’azienda o meno. In caso di problemi era necessario indicare quale policy aziendale fosse stata infranta dall’utente, compilando dei formulari sintetici allegati ai rifiuti. Inoltre ogni settimana dei quality analyst analizzavano a campione le nostre moderazioni per stabilire se avevamo applicato correttamente le linee guida».

Un gruppo di una settantina di pseudo-censori, impegnati a svuotare l’oceano col cucchiaino. «Dovevamo censurare soprattutto gli utenti minorenni, cioè chi non ha l’età adeguata per avere un profilo TikTok, ed erano tantissimi. In altri casi invece dovevamo epurare scollature troppo evidenti o atteggiamenti e movenze percepibili come atti sensuali. Ma anche contenuti protetti da copyright come film o eventi sportivi e ovviamente i contenuti blasfemi. Le policy comunque venivano aggiornate molto spesso, in alcuni periodi anche una volta a settimana, per tentare di arginare i trend più deleteri. Un contenuto ‘sicuro’ fino alla settimana prima, quella dopo poteva procurare un ban» ricorda D.B.. «Un inseguimento costante che si traduceva in una miriade di documenti di cui tenere traccia».

In questo mare magnum non gli è però mai capitato niente di veramente scandaloso o traumatizzante, per fortuna, ma soltanto perché i video arrivavano già filtrati da un altro dipartimento. «Sì, il grosso dei contenuti con atti violenti o sessuali era bloccato da un team specializzato che nessuno di noi invidiava. Ma anche la nostra situazione era riconosciuta come particolarmente stressante: rispetto agli altri nostri colleghi avevamo mezz’ora in più di pausa ogni giorno, anche quando lavoravamo da casa, ed eravamo tenuti a un colloquio psicologico almeno una volta al mese. È un lavoro che ti può traumatizzare per la mole, la velocità e il carattere degli input visivi che ti arrivano e che possono essere soverchianti».

Forse anche per questo D.B. non ha mai installato TikTok sul suo cellulare. «Già lavorarci mi bastava e in generale non ho una buona idea di questo social: penso che la maggior parte dei suoi contenuti siano inutili e che influisca negativamente sull’attenzione». Un nulla che però secondo Trump vale «a trillion», in una tecno-trinità con le sue amate criptovalute e l’intelligenza artificiale.

Di Camillo Bosco

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