Salvatore Majorana: “Kilometro rosso, un motore della contaminazione”
Il Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso, con una vita simile a un campus, ospita 200 eventi l’anno con circa 18mila persone
Salvatore Majorana: “Kilometro rosso, un motore della contaminazione”
Il Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso, con una vita simile a un campus, ospita 200 eventi l’anno con circa 18mila persone
Salvatore Majorana: “Kilometro rosso, un motore della contaminazione”
Il Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso, con una vita simile a un campus, ospita 200 eventi l’anno con circa 18mila persone
Il Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso, con una vita simile a un campus, ospita 200 eventi l’anno con circa 18mila persone
Il geniale fisico siciliano Ettore Majorana, misteriosamente scomparso 86 anni fa quando era allievo di Enrico Fermi (che gli riconosceva un’intelligenza addirittura superiore alla propria), ha lasciato al mondo un pronipote che oggi dirige il Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso. Si chiama Salvatore Majorana ed è un ingegnere. Siamo alle porte di Bergamo, in un’avveniristica costruzione progettata dall’archistar Jean Nouvel su input di Alberto Bombassei, presidente di Brembo, fortemente voluta per realizzare in quel fazzoletto di terreno che si affaccia sull’A4 una realtà che permetta alle aziende di distinguersi facendo innovazione. «La vita al Kilometro Rosso è simile a quella di un campus universitario, 200 eventi l’anno con circa 18mila persone che si incontrano e si scambiano idee» spiegaMajorana. «Kilometro Rosso oggi è un motore della contaminazione culturale, un luogo pensato per assolvere a un compito intangibile, nel senso che non è votato al risultato nel breve termine. Di fatto il Kilometro Rosso è un ‘attizzatore di relazioni’».
Ogni azienda fa il proprio lavoro ma la peculiarità è costituita da un ente con funzioni di stimolo – la dirigenza – che va a bussare alle porte delle singole imprese facendosi raccontare sogni e problemi, per poi metterli a fattor comune. Si contano circa una cinquantina di brevetti l’anno depositati dalle aziende che hanno sede nel campus e più di mille profili professionali formati. I numeri quindi – nonostante la vocazione filosofica tipica dell’agorà aristotelica – contano, eccome.
Siamo dunque nell’Iperuranio, per mantenersi in ambito filosofico? Non proprio. La realtà è che da questo incontro con Majorana abbiamo capito che i parchi scientifici sono un elemento di raccordo naturale per fare innovazione, ma questo Paese quasi li ignora. Nel mondo ce ne sono circa 300, ovunque considerati uno strumento eccellente di sviluppo territoriale, ma in Italia siamo indietro e questo provoca non poche frustrazioni in Majorana: «Non è possibile che all’interno del piano di governo del territorio di Bergamo non si faccia menzione del Kilometro Rosso» accusa. «È drammatico che un’amministrazione comunale che abbia a cuore il territorio non si renda conto di questa fetta di Bergamo che fa innovazione e genera un indotto notevole».
Prosegue Majorana: «Il Pnrr ha allocato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy 380 milioni di euro per sviluppare il trasferimento tecnologico, cioè l’insieme di attività che consentono a chi si occupa di tecnologie di portarle poi sul mercato. Ecco, noi questo lo facciamo già, è nel nostro Dna. Questi soldi però non sono previsti per i parchi tecnologici perché siamo soggetti non riconosciuti. È frustrante ed è stato allora proposto di creare un albo ad hoc. Siamo in attesa di una risposta dal ministro Urso. Il tema vero è che se questi denari devono raggiungere le piccole e medie imprese, queste non riescono a interagire con le università se non con dei mediatori, che siamo noi». Anche per questo Majorana lancia un appello: «Vorrei parlare con il ministro, perché se vogliamo pensare a un Paese nuovo fatto di giovani e per la tecnologia, se vogliamo stare in questo mondo che sta cambiando, dobbiamo smettere di coccolare le pensioni e pensare piuttosto a sviluppare le innovazioni. Perché solo da qui verrà fuori il futuro».
La conclusione è affidata alla memoria familiare: «Mio zio Ettore ha insegnato con la sua vita quanto si possa sprecare per non saper comunicare in maniera adeguata. Io ho cercato di far evolvere questo ammonimento facendolo diventare la mia professione: infatti non sono altro che un comunicatore della tecnica e mi impegno a mettere in relazione soggetti diversi tra loro. Se Ettore Majorana fosse stato accompagnato da qualcuno capace di decodificare il suo genio con il resto del mondo, saremmo tutti più avanti grazie ai suoi studi».
di Renata Sortino
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