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Sicurezza e privacy

Sicurezza e privacy

Il labile confine tra sicurezza e privacy. Le tecnologie per il riconoscimento facciale potrebbero essere utilizzate anche in Italia
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Le tecnologie per il riconoscimento facciale potrebbero presto essere utilizzate nelle città italiane. A rivelarlo è stato il ministro dell’Interno Piantedosi in un’intervista rilasciata pochi giorni fa. Il responsabile del Viminale ha ammesso che sono in corso le interlocuzioni con il Garante della privacy affinché vengano verificati i profili di criticità per l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza ‘intelligenti’, capaci di effettuare una mappatura dei volti ripresi dalle telecamere.

L’obiettivo del ministro è quello di dotare i luoghi sensibili di un’ulteriore arma a favore delle forze dell’ordine per prevenire le condotte illecite e, qualora abbiano luogo, per risalire velocemente ai colpevoli. Se il fine è lodevole, soprattutto in un periodo in cui le aggressioni ai danni di persone inermi sono cagionate pure in pieno giorno e in luoghi molto frequentati, occorre altresì riflettere sull’invasività che siffatta tecnologia – per sua natura – renderebbe concreta. Ciascun cittadino onesto vorrebbe sapere assicurati alla giustizia i delinquenti come gli stupratori e gli omicidi, ma l’utilizzo delle tecnologie e delle intelligenze artificiali non è capace di isolare e riconoscere solamente questi individui, bensì traccerebbe tutti indistintamente: lo sarebbe la signora che va a comprare il pane come il cliente che si reca in banca a sbrigare i propri affari.

Nelle società aperte quali pretendono di essere le democrazie occidentali – non prive, comunque, di naturali processi di irrigidimento e rilassamento – la politica deve decidere la maniera migliore per bilanciare i contrastanti interessi alla sicurezza e alla privacy. Secondo una nota teoria, una società sicura è quella dove i cittadini sono disposti a esporre continuamente la propria vita all’occhio vigile dell’amministrazione e il non volersi omologare è sufficiente per ritenere l’individuo quantomeno sospetto. Questa teoria dell’“uomo di vetro” fu il caposaldo del regime totalitario nazista, che lo utilizzò quale paradigma per catalogare i buoni cittadini da quelli temibili e perseguibili. Un discorso simile, e vieppiù invasivo, è messo in pratica ai giorni nostri nella Cina comunista, dove il riconoscimento facciale traccia incessantemente milioni di persone ogni giorno. Pure là, con la pretesa della sicurezza e della prevenzione dei crimini, si realizza quel Grande Fratello che trasforma la distopia orwelliana in tragica realtà per chiunque si trovi a percorrere una pubblica via.

Di Stefano Musu

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