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Stellantis e il blackout

Il blocco della produzione della 500 elettrica da parte di Stellantis e il rifiuto del nostro mercato e diq quello europeo all’elettrificazione

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Stellantis e il blackout

Il blocco della produzione della 500 elettrica da parte di Stellantis e il rifiuto del nostro mercato e diq quello europeo all’elettrificazione

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Stellantis e il blackout

Il blocco della produzione della 500 elettrica da parte di Stellantis e il rifiuto del nostro mercato e diq quello europeo all’elettrificazione

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Il blocco della produzione della 500 elettrica da parte di Stellantis e il rifiuto del nostro mercato e diq quello europeo all’elettrificazione

Nelle settimane dell’intervento del governo sul tema dell’elettrificazione della mobilità e in modo specifico del bando europeo alla vendita di auto spinte da motori endotermici a partire dal 2035, l’annuncio Stellantis dello stop alla produzione della 500 elettrica per troppi pochi ordini può essere propagandato come una forte testimonianze del rifiuto del nostro mercato e di quello europeo dell’auto elettrica.

Visione sempre più diffusa negli ambienti interessati a rallentare la transazione della mobilità verso l’elettrico e cara a chi ritiene che la difesa della nostra industria dell’automotive e del suo gigantesco indotto passi dal limitarne quanto più possibile l’elettrificazione. Invitiamo i nostri gentili lettori a un piccolo test, guardandosi intorno e in special modo in città: nelle stesse settimane che hanno portato a una crisi di vendita delle auto full electric Stellantis (e non solo elettriche, perché finita la droga degli ecoincentivi la quota di mercato del gruppo è precipitata…), si sono cominciate a vedere sempre più auto elettriche cinesi. In particolar modo quelle su cui le rispettive case produttrici hanno fatto pesanti investimenti pubblicitari e di marketing.

Va di moda sostenere che saremmo in pieno riflusso elettrico, confondendo la naturale reazione del mercato ai forti dubbi di carattere normativo a livello europeo con una sentenza inappellabile. Poniamo anche che su spinta italiana e forse tedesca si anticipi la già prevista verifica del bando del 2035 a quest’anno – senza aspettare il 2026 come da programma – e consideriamo pure che lo si rinvii di cinque o sette anni.

Tempo importante se ci sapremo organizzare, deleterio se ci dovessimo fermare a sperare nell’apocalisse elettrica. Nel frattempo, chi ha la responsabilità della politica industriale dovrebbe attrezzare il Paese, cominciando dal respingere qualsiasi programma dettato solo dall’ideologia. Quanto al mondo dell’industria, converrebbe dare un’occhiata a ciò che fanno gli altri. Cinesi compresi. Questi ultimi, nonostante i dazi varati dall’Ue, cominciano a diventare una presenza sempre più massiccia e non solo grazie alla leva del prezzo: presentano modelli a elevato contenuto tecnologico, con sistemi di intrattenimento via via più sofisticati e variegati, guarda caso centrali nel marketing.

Sono auto spesso di grandi dimensioni, familiari eppure sportive, se non addirittura aggressive. Esplorano, insomma, quei segmenti dove si possono trovare nuovi clienti. Se è vero come è vero, inoltre, che la grande sfida sarà sempre più sulle batterie, ancor prima che sull’auto in se stessa, puntare su vetture performanti e dalla lunga autonomia potrebbe rivelarsi una scelta estremamente competitiva.

In Italia ci lamentiamo del destino cinico e baro, dell’ideologia paracomunista che vuole imporci troppo Green nella vita e di quanto sono cattivi questi cinesi ma in definitiva diamo la sgradevole sensazione di restare in balia degli eventi.

di Fulvio Giuliani

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