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Wan Gang, l’ingegnere visionario

Prima che Tesla nascesse, un ingegnere cinese poneva le basi dello sviluppo dell’auto elettrica in Cina. Stiamo parlando di Wan Gang

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Wan Gang, l’ingegnere visionario

Prima che Tesla nascesse, un ingegnere cinese poneva le basi dello sviluppo dell’auto elettrica in Cina. Stiamo parlando di Wan Gang

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Wan Gang, l’ingegnere visionario

Prima che Tesla nascesse, un ingegnere cinese poneva le basi dello sviluppo dell’auto elettrica in Cina. Stiamo parlando di Wan Gang

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Prima che Tesla nascesse, un ingegnere cinese poneva le basi dello sviluppo dell’auto elettrica in Cina. Stiamo parlando di Wan Gang

Non ci riferiamo a Elon Musk. Il sostegno a Trump, a partire dalla prima apparizione il 17 ottobre 2024 a Filadelfia, ha fatto salire di 600 miliardi di dollari il valore di Tesla, a fronte di un investimento nella campagna di 270 milioni: Musk è potenzialmente uomo dell’anno di “Fortune”. Divenne principale investitore nel 2004, l’anno successivo alla fondazione di Tesla, attento all’ecosistema dell’auto elettrica: batterie, ricariche, automazione. L’ecosistema non può essere creato da una sola azienda, per quanto brillante. È una consapevolezza che spiega l’impegno di Musk in politica.

Sui due lati dell’oceano Atlantico l’impegno per la transizione all’elettrico è stato invece sottovalutato. Le lobby difensive e i comportamenti opportunistici degli incumbent come Stellantis e Volkswagen – le due aziende inquisite nel 2015 e nel 2017 dall’Agenzia federale dell’Ambiente per aver taroccato i software di rilevamento delle emissioni dei loro diesel – hanno contribuito alla miopia delle politiche.

Prima che Tesla nascesse, un ingegnere cinese poneva le basi dello sviluppo dell’auto elettrica in Cina. Studente lavoratore e contadino durante la Rivoluzione culturale, Wan Gang si laureò alla Northeast Forestry University di Harbin, nel Nord della Cina. Nel 1979 ottenne il master all’Università “Tongji” di Shanghai e successivamente andò in Germania all’Università tecnologica di Clausthal per sei anni, prima di lavorare per un decennio in Audi, eccellenza dell’auto mondiale. Qui si impegnò nella ricerca, che comprendeva l’auto elettrica.

Nel 2000 inviò al governo cinese una proposta strategica «sullo sviluppo di energia nuova e pulita per le auto come punto di partenza per un salto in avanti dell’industria automobilistica cinese». In quell’anno gli Stati Uniti producevano 15 milioni di auto, mentre la Cina ne produceva 700mila. In Cina si consumava un barile di petrolio a persona contro i 12 della Germania e i 20 degli Stati Uniti. Spingendo la Cina in modo inerziale verso i consumi pro capite occidentali, la densità della sua popolazione avrebbe reso impossibile sostenere il conseguente livello di inquinamento. Wan Gang convinse il governo a seguire la nuova strategia. Fu incaricato del programma di incremento della competitività e dell’innovazione e poi nominato presidente di quell’Università “Tongji” in cui aveva studiato.

Nel 2008, l’anno dopo essere stato nominato ministro della Scienza e tecnologia (primo non iscritto al Partito comunista), propose per le Olimpiadi di Pechino la chiusura nelle aree metropolitane degli impianti a combustibili fossili e la costruzione di 1.000 autobus elettrici per gli atleti. Decise inoltre di piantare milioni di alberi per contrastare le emissioni di CO2 causate dai viaggi aerei delle delegazioni. Gli autobus furono prodotti in numeri puramente rappresentativi, ma gli alberi furono piantati e le industrie pesanti allontanate dalle aree metropolitane.

L’auto elettrica fu accompagnata ai suoi esordi da sussidi elevati: 10mila dollari di aiuti a chi ne comprava una. Nel contempo Wan Gang spingeva le amministrazioni locali a rendere onerosissima la patente di guida per le auto tradizionali, senza trascurare il mondo delle due ruote: già ai tempi delle Olimpiadi e dell’Expo, nelle metropoli cinesi i motorini elettrici stavano soppiantando centinaia di milioni di biciclette. I risultati di questa strategia fanno oggi tremare gli incumbent occidentali: nel 2020 la Cina esportava lo stesso numero di auto degli Stati Uniti, oggi è arrivata a sette volte tanto. Fra le prime dieci aziende mondiali che eccellono nelle tecnologie di punta dell’auto a zero emissioni, sei sono cinesi.

Tesla non salverà da sola l’industria dell’auto americana, ma la nuova amministrazione – pressata da Musk – potrebbe investire nelle infrastrutture di cui la transizione ecologica ha bisogno. Potrebbe, sempre che Trump non si attardi nella difesa dei blue collar delle vecchie fabbriche automobilistiche. O, peggio, non metta in ginocchio Tesla soffocando i rapporti vitali che essa ha con la Cina. Oltre a ciò, in Europa occorre scegliere tra i sussidi inutili al settore dell’auto (richiesti da Tavares & Co.) che finiscono nelle buonuscite degli amministratori delegati, e lo sviluppo di un sistema di generazione e distribuzione dell’energia che valorizzi le fonti rinnovabili e aumenti la competitività dell’intera industria manifatturiera.

di Mario Dal Co

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