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Oppido Mamertina, denuncia uno stupro: la famiglia la picchia per farle ritirare tutto

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È un racconto dell’orrore quello della minorenne che a Oppido Mamertina, in Calabria, è stata perseguitata dai suoi stessi parenti per aver denunciato lo stupro subito

Calabria

Oppido Mamertina, denuncia uno stupro: la famiglia la picchia per farle ritirare tutto

È un racconto dell’orrore quello della minorenne che a Oppido Mamertina, in Calabria, è stata perseguitata dai suoi stessi parenti per aver denunciato lo stupro subito

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Oppido Mamertina, denuncia uno stupro: la famiglia la picchia per farle ritirare tutto

È un racconto dell’orrore quello della minorenne che a Oppido Mamertina, in Calabria, è stata perseguitata dai suoi stessi parenti per aver denunciato lo stupro subito

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“Devi morire p..a”. Le frustate, gli insulti, le umiliazioni. Le botte e le vessazioni. È un racconto dell’orrore quello della minorenne che a Oppido Mamertina, in Calabria, è stata perseguitata dai suoi stessi parenti per aver denunciato lo stupro subito da un gruppo di coetanei tra cui alcuni rampolli di famiglie legate alla ‘Ndrangheta. 

La vicenda ve l’avevamo già raccontata sulle nostre pagine, ma ora dai verbali delle deposizioni della giovane lo scenario emerge in tutta la sua drammaticità. Volevano ritirasse la denuncia, i suoi familiari. Perché era lei, la vittima, a doversi vergognare. Vergognare di aver parlato di quello stupro. Di aver fatto quei nomi. Nomi che non doveva permettersi di pronunciare. 

Quando la giovane ha raccontato al fratello di aver subito lo stupro, si legge nei verbali, lui l’ha “percossa con calci e pugni e minacciata con un coltello”. Lo scopo, darle ritirare la denuncia, ovviamente. “Volevano farmi ritirare le denunce per consentire ai responsabili delle violenze sessuali di tornare in libertà – racconta la giovane – evidentemente per il timore che le loro famiglie possano porre in essere ritorsioni nella mia famiglia». 

Minacce. Botte. Umiliazioni. Per fortuna tra le persone che questa ragazzina conosce c’è anche un poliziotto. Che ha raccolto i suoi sfoghi, fino a che si è arrivati alle denunce nei confronti dei familiari. Mentre quei rampolli delle famiglie di ‘Ndrangheta, quelli di cui lei, insieme a un’altra giovane a sua volta vittima di violenza sessuale, non avrebbe dovuto fare i nomi, sono stati condannati a pene tra i 5 e i 13 anni di carcere. 

A rimanere, tuttavia, è una domanda: com’è possibile che in Italia nel 2025 accada ancora tutto questo? 

di Annalisa Grandi

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