Due bimbi morti di sete in mare. Costringersi a guardare
Perché cerchiamo di non guardare, di non leggere? Per senso di impotenza, per vergogna. Non possiamo accettare l’idea di due bimbi che muoiono di sete in mezzo al mare, cercando di raggiungere le nostre coste
Due bimbi morti di sete in mare. Costringersi a guardare
Perché cerchiamo di non guardare, di non leggere? Per senso di impotenza, per vergogna. Non possiamo accettare l’idea di due bimbi che muoiono di sete in mezzo al mare, cercando di raggiungere le nostre coste
Due bimbi morti di sete in mare. Costringersi a guardare
Perché cerchiamo di non guardare, di non leggere? Per senso di impotenza, per vergogna. Non possiamo accettare l’idea di due bimbi che muoiono di sete in mezzo al mare, cercando di raggiungere le nostre coste
Perché cerchiamo di non guardare? Perché cerchiamo di non leggere? Per senso di impotenza, per vergogna, per indecenza, ma anche per umanissima debolezza. Perché non possiamo accettare l’idea di due bimbi di due anni che muoiono di sete – di sete – in mezzo al mare, cercando di raggiungere le nostre coste. Con chi? Non sappiamo neanche quello. Con i genitori? Qualche altro parente, qualche anima buona che ha cercato un disperato, ultimo tratto di viaggio?
La notizia non c’è, la notizia è da qualche parte (in prima pagina, oggi su La Ragione) sommersa dal rumore di ogni giorno. Certo, anche dall’indifferenza di troppi, ma soprattutto – ne siamo assolutamente sicuri – da un devastante senso di impotenza. Persino dalla paura di dire o scrivere sempre le stesse cose, magari di passare per “troppo buono“ o “troppo cattivo“.
Lo sconfortante livello del dibattito sui migranti nel nostro Paese ci ha ridotto a questo, ad aver paura di esprimere le nostre emozioni per non essere catalogati in una squadra. In una tifoseria, per essere più precisi. Quando dovremmo soltanto conservare la capacità di un momento di raccoglimento e di riflessione. Per chi ha fede, magari di preghiera, per gli altri di un duro esame su quello che stiamo diventando. In molti casi non si tratta di essere cattivi e neppure indifferenti, piuttosto assuefatti. Anche quando questo atteggiamento è del tutto inaccettabile.
Potremmo cominciare chiedendo scusa, anche a noi stessi, perché ogni volta che volgiamo la faccia dall’altra parte, pur con le migliori e comprensibili emozioni e motivazioni, stiamo mancando di rispetto all’umanità. Stiamo rinunciando a un pezzo di coscienza. E ognuno faccia i conti con la propria.
Di Fulvio Giuliani
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