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Garlasco e la giustizia capovolta

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A leggere le cronache del delitto di Garlasco diciotto anni dopo si rimane sbigottiti. Si ha l’impressione che per la giustizia italiana valga il principio di dover dare un colpevole anche in assenza di prove certe

Garlasco e la giustizia capovolta

A leggere le cronache del delitto di Garlasco diciotto anni dopo si rimane sbigottiti. Si ha l’impressione che per la giustizia italiana valga il principio di dover dare un colpevole anche in assenza di prove certe

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Garlasco e la giustizia capovolta

A leggere le cronache del delitto di Garlasco diciotto anni dopo si rimane sbigottiti. Si ha l’impressione che per la giustizia italiana valga il principio di dover dare un colpevole anche in assenza di prove certe

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A leggere le cronache del delitto di Garlasco diciotto anni dopo l’assassinio di Chiara Poggi si rimane sbigottiti. Non per ciò che si legge ma per ciò che non si legge. Perché Alberto Stasi è stato condannato, dopo due assoluzioni in primo e secondo grado, a sedici anni di galera? Si ha l’impressione – ed è un evidente eufemismo – che per la giustizia italiana valga il principio di dover dare ai cronisti, al ‘pubblico’ e ai familiari della vittima un colpevole anche in assenza di prove certe. Così il caposaldo di ogni decente cultura costituzionale e penale, che esige l’innocenza dell’indagato o dell’imputato fino a prova contraria, è capovolto. E l’indagato o l’imputato diventano colpevoli per definizione. Dalla presunzione di innocenza alla presunzione di colpevolezza. Perché? Perché un colpevole pur che sia ci deve essere per darlo ai cronisti, alla gente, ai familiari.

Non si capisce ciò che sta accadendo a Pavia e a Garlasco con la nuova inchiesta che vede Andrea Sempio in veste di nuovo indagato se non si prendono le mosse dal non detto che abbiamo or ora evidenziato. Il vero scandalo di questa storia non è che c’è un assassino in libertà, o meglio un indagato e fino a prova contraria innocente. Ma che un uomo è in carcere perché giudicato colpevole anche in assenza di prove certe. Il confine che separa la garanzia dalla colpa è sottile ma va tenuto fermo. Perché è esattamente in quel punto che si concretizzano i cosiddetti errori giudiziari e si aggiungono vittime a vittime.

Le cronache giudiziarie del delitto di Garlasco ci parlano di due cose diverse. La dinamica della scena del crimine – in realtà il tentativo di ricostruirla – e il delicato funzionamento dell’amministrazione della giustizia. In cui i concetti di innocenza e colpa si scambiano di posto. Per quanto possa sembrare strano, il secondo aspetto è più importante del primo. Se infatti non si tiene fermo il principio costituzionale della presunzione d’innocenza, si trasforma la giustizia in una macchina infernale. Che cerca un capro espiatorio. Nessuno può pensare di essere al sicuro da questo inferno soltanto perché oggi non ne è toccato e ricopre il ruolo di spettatore.

La prova di quanto detto è sotto i nostri occhi con la nuova inchiesta della Procura di Pavia che, al netto della verità processuale, è un film già visto. La replica del “caso Garlasco” risiede nell’originale o primo “caso Garlasco”. La ricerca di un colpevole pur che sia innesca un meccanismo di replica e imitazione in cui tutti sono colpevoli. E, quindi, nessuno lo è veramente. Chi si salva da questo inferno? Nessuno, fate attenzione. Soprattutto non si salva la giustizia italiana, che perde sistematicamente credibilità. Ma uno Stato civile che non ha una giustizia autorevole e credibile si condanna alla inciviltà della colpevolizzazione degli innocenti tramite la prassi dell’errore giudiziario assunto come verità. Tutto questo è non solo aberrante e peggiore del crimine, ma è anche molto, molto pericoloso. Come se ne esce? Non senza difficoltà.

A chi gli chiedeva lumi intorno alla giustizia Croce diceva: «State lontani dai tribunali». Aveva ragione, ah se aveva ragione. Tuttavia, la difficoltà oggi è proprio nello star lontani dai tribunali. Perché la nostra vita civile e morale è stata trasformata in un’unica immensa aula di giustizia in cui vige il trionfo del pan-penalismo. La ricerca del colpevole si applica a ogni settore della società. Ciò che conta non è lavorare con la libera assunzione di responsabilità che prepara successo o insuccesso, bensì di chi sia necessariamente la colpa. Affinché tutti gli altri siano esenti dall’assunzione di responsabilità e così (momentaneamente) salvi dalla violenza di massa.

Di Giancristiano Desiderio

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