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Quell’abbraccio

Il dolore per la morte di Gianluca Vialli è collettivo. Vialli è stato un simbolo, un eroe del calcio italiano
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Il dolore per la morte di Gianluca Vialli è collettivo. Vialli è stato un simbolo, un eroe del calcio italiano
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Il dolore per la morte di Gianluca Vialli è collettivo. Vialli è stato un simbolo, un eroe del calcio italiano
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Il dolore per la morte di Gianluca Vialli è collettivo. Vialli è stato un simbolo, un eroe del calcio italiano

Quell’abbraccio con Roberto Mancini a Euro 2020 aveva colpito tutti. È forse la prima immagine che viene alla mente, scrivendo o parlando di Gianluca Vialli. Smagrito, segnato dal male, ma felice come un bambino al parco giochi. Innamorato, invaghito della sua passione.

Il dolore per la morte di Vialli è collettivo. Non solo perché avviene a soli 58 anni o per la coraggiosa e lucida lotta con la malattia, o perché arriva dopo la perdita in fila di Sinisa Mihajlovic e di Pelè. O ancora perché in questi minuti l’omaggio in Rete corre, senza sosta. 

 

Vialli è stato un simbolo, un eroe del calcio italiano. Uno dei più forti forse nel momento più alto della Serie A, che tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio del decennio successivo valeva quanto l’attuale Premier League. Uno che ti dava la sensazione di essere un amico. L’amico di tutti.

L’ex attaccante di Sampdoria, Juventus, Chelsea, è deceduto a Londra. Era ricoverato da un paio di settimane per alzare l’ultimo argine al tumore al pancreas, con cui ha saputo convivere per anni, lavorando anche come capo-delegazione della nazionale italiana nel percorso che ha portato al successo a Euro 2020 e alla delusione per la mancata partecipazione ai Mondiali in Qatar. Tanto innamorato e coinvolto dalla causa della nazionale italiana, nonostante la malattia, da assistere di spalle, senza il coraggio di guardare, alla sequenza dei rigori per Euro 2020 con l’Inghilterra. Per quella nazionale, Vialli è stata la benzina emotiva, la prova di poter andare oltre il limite.

 

Vialli è stato un formidabile simbolo per la lotta al cancro. Ha fatto esaltare, pensare, è riuscito a essere di ispirazione. “Ai ricercatori dico, forza e coraggio ragazzi, buon lavoro. Abbiamo bisogno di voi!” è stato uno degli ultimi messaggi che Vialli ha voluto lanciare qualche settimana fa, quando ha dovuto lasciare il suo lavoro alla nazionale, perché il male era tornato, più forte di prima. 

 

Quel male che l’ha segnato nell’ultima fase della sua vita non può far dimenticare quello che Vialli è stato in precedenza. Ovvero, uno degli attaccanti più forti del calcio italiano. Il simbolo della Sampdoria di Mantovani che vinse lo scudetto 31 anni fa. Lui, Zenga, Baggio, Baresi, Maldini, vertici di una generazione formidabile di campioni che ha reso straordinario il campionato italiano, infarcito con i migliori calciatori europei e sudamericani, da Maradona a Van Basten, Careca, Matthaeus, prima ancora Zico e Platini. E che non è riuscita per un soffio, per una batteria di rigori in semifinale a Italia ‘90 con l’Argentina, a giocarsi un titolo mondiale. 

 

Vialli è stato anche un simbolo alla Juventus. Leader tecnico, carismatico. Ha alzato l’ultima Coppa dei Campioni per i bianconeri nel 1996, prima di volare a Londra e aprire la strada al calcio italiano al Chelsea, sia da calciatore, poi da allenatore, prima di dedicarsi al ruolo di commentatore sportivo e di dirigente sportivo. Il microcosmo dei Blues, partendo dallo storico capitano John Terry, gli è stato pubblicamente vicino durante il corso della malattia. Come tanti, tra chi l’aveva vissuto e conosciuto e chi ammirato da lontano. Era uno di impatto. Uno di quelli che sai già che non ripasserà facilmente.

Di Nicola Sellitti

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