Il peccato all’ecclesia il reato allo Stato
Joseph Ratzinger, accusato di omissione per reati di pedofilia, riconosce Dio come suo unico giudice, non lasciando alcuno spazio al tribunale terreno. Un oliatissimo meccanismo che lo storico Guerri aveva già testimoniato nel libro “Io ti assolvo”, datato 1993.

Il peccato all’ecclesia il reato allo Stato
Joseph Ratzinger, accusato di omissione per reati di pedofilia, riconosce Dio come suo unico giudice, non lasciando alcuno spazio al tribunale terreno. Un oliatissimo meccanismo che lo storico Guerri aveva già testimoniato nel libro “Io ti assolvo”, datato 1993.
Il peccato all’ecclesia il reato allo Stato
Joseph Ratzinger, accusato di omissione per reati di pedofilia, riconosce Dio come suo unico giudice, non lasciando alcuno spazio al tribunale terreno. Un oliatissimo meccanismo che lo storico Guerri aveva già testimoniato nel libro “Io ti assolvo”, datato 1993.
Custodire il segreto su quanto ascoltato nel confessionale è regola assoluta, che non ammette eccezioni. Il sigillo sacramentale riguarda però esclusivamente il sacerdote, non il peccatore. E così all’inizio degli anni Novanta lo storico Giordano Bruno Guerri decise con due assistenti di andarsene in pellegrinaggio in decine di chiese lungo lo Stivale e inventarsi lì per lì qualche peccato grave per poi registrare di nascosto le reazioni del confessore. Una ricerca sociologica preziosa che nel 1993 uscì nelle librerie col titolo “Io ti assolvo”.
Scorrendo quelle pagine si coglieva lo spaesamento di molti parroci, costretti dai tempi nuovi a misurarsi con peccati inediti, spesso terribili e che sembravano sfuggire alla millenaria tassonomia dei comandamenti cristiani. Ma quel che lasciava davvero basiti – e per certi versi atterriti – era scoprire un oliatissimo meccanismo spirituale e psicologico: il reo confesso riceveva l’assoluzione religiosa dei suoi peccati ma veniva quasi diffidato dal recarsi presso l’autorità giudiziaria per autodenunciarsi ed espiare in carcere il suo crimine.
Guerri e le sue assistenti si incolpavano di volta in volta di corruzione e bustarelle, omicidio di estranei o familiari stretti, omissioni e spergiuro a danno di innocenti finiti in carcere, ripetute violenze sessuali su minori? Il prete sconsigliava loro di denunciare e denunciarsi: «Non è necessario. Dio ti ha già perdonato e io ti assolvo da ogni peccato». Un riflesso costante a ogni latitudine e che evidentemente rispondeva a precise istruzioni della gerarchia ecclesiastica. In buona (?) sostanza, il rinnovato stato di grazia del cristiano nulla doveva spartire con lo Stato e le sue leggi.
Son trascorsi trent’anni, un granello di sabbia nella clessidra della storia della Chiesa e sarebbe un azzardo immaginare che la mentalità dei suoi uomini sia da allora granché cambiata. Soltanto così si può comprendere la reazione di Joseph Ratzinger alle gravi accuse di omissione che gli sono state mosse. Vittima di un faldone d’accusa monumentale e mostruoso spesso 8mila pagine – illeggibile da chiunque, utile soltanto al discredito planetario – il papa emerito rivendica di aver informato di fatti incresciosi il foro interno della Chiesa, legittimo ma certo non esclusivo. Chiede sì perdono ma continua a riconoscere come suo unico giudice l’Altissimo e non quello ben più basso di un tribunale terreno.
Quanto al gesuita Bergoglio, se l’è cavata molto più a buon mercato andandosi a confessare senza rischi da Fabio Fazio, sicuro di una preventiva ed entusiastica assoluzione.
di Vittorio Pezzuto
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