Non c’è nulla di giustificabile nell’uccidere. Non serve però neanche scatenare polemiche sulle sentenze. Come sta accadendo per la condanna a 24 anni di carcere decisa dalla Corte d’Assise di Brescia nei confronti di Gianluca Lupi, che nel 2020 aveva ammazzato a coltellate l’ex compagna Szuzsanna Mailat, mentre in casa c’erano anche i loro tre figli.
Il punto controverso in questione è che il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo e invece si è deciso per una pena minore, in considerazione anche del fatto che si ritiene che l’uomo abbia agito d’impulso e non con premeditazione. Si può essere d’accordo oppure no, ma intanto questa è una sentenza di primo grado e quindi assolutamente appellabile.
In secondo luogo è necessario rispettare le sentenze, che vengono formulate sulla base delle leggi vigenti e non sulla base di un giudizio morale che abbiamo la libertà sempre di esprimere ma che tale resta. Vero è che siamo avvezzi a trasformarci in esperti di svariate materie a seconda delle circostanze, anche se quello che quest’uomo ha commesso non ha evidentemente né giustificazioni né alcuna motivazione plausibile.
Parimenti, la magistratura svolge il suo ruolo e non spetta ai media emettere un verdetto alternativo, soprattutto se di quei procedimenti non si sa nulla a parte capo d’accusa e pena. Un vizio che vediamo invece dilagare. E che non favorisce il rispetto necessario nei confronti di chi ha il compito non certo semplice di applicare le leggi e punire i colpevoli.
Di Annalisa Grandi
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