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La giustizia non è un sondaggio d’opinione

Facciamo chiarezza sul processo dei ragazzi americani Finnegan Elder e Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega

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La giustizia non è un sondaggio d’opinione

Facciamo chiarezza sul processo dei ragazzi americani Finnegan Elder e Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega

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La giustizia non è un sondaggio d’opinione

Facciamo chiarezza sul processo dei ragazzi americani Finnegan Elder e Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega

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Facciamo chiarezza sul processo dei ragazzi americani Finnegan Elder e Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega

Ho seguito per lavoro il processo riguardante i ragazzi americani Finnegan Elder e Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega. Gli articoli feroci sulla concessione degli arresti domiciliari a uno dei due mi spingono a riflettere sul valore e sull’importanza di una corretta narrazione giornalistica, spesso invece influenzata da avvocati e Procure che ne approfittano per raccontare la loro versione dei fatti, talvolta ignorando le leggi e la Costituzione.

A titolo esemplificativo ripercorro le tappe mediatiche di questa tragica vicenda. Nel 2020, in primo grado, i due ragazzi vengono condannati all’ergastolo: la massima pena è giustificata dall’aggravante della resistenza a pubblico ufficiale, dunque i giovani sapevano di avere di fronte due carabinieri. Nessuna possibilità di patteggiamento, ma processo ordinario e massima pena. La stampa riprende il commento dell’avocato della vedova: «Sentenza esemplare per chi ha ucciso un servitore dello Stato».

Nel 2022, in appello, inizia a emergere l’incertezza sull’identificazione dei carabinieri. Ma le pene restano elevate: 24 anni per Elder e 23 per Hjorth. La difesa ricorre allora in Cassazione che, nel 2023, evidenzia le lacune delle sentenze precedenti: per Elder deve essere rivalutata l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, mentre per Hjorth va rivista la sua volontarietà nella partecipazione all’omicidio.

Il nuovo processo del 3 luglio 2024 chiarisce che i carabinieri non hanno avuto il tempo di qualificarsi, quindi i ragazzi non potevano sapere che erano tutori dell’ordine. Questo fa cadere l’aggravante per Elder, mentre per Hjorth l’accusa viene derubricata da concorso morale a concorso anomalo. Le pene vengono ridotte a 15 anni e due mesi per Elder e 11 anni e due mesi per Hjorth. Di fatto le stesse pene già comminate in appello, ma ridotte di un terzo come previsto dal rito abbreviato (che è stato concesso perché sono venute a mancare le aggravanti).

L’unico commento fuori dal coro mediatico che urla allo scandalo è quello di Davide Giacalone su questo giornale che, basandosi sui fatti e sulla conoscenza della materia, scrive: «Non c’è stata alcuna riduzione arbitraria della pena. Nessun favoritismo abituale perché gli imputati sono cittadini americani. La legge è stata semplicemente applicata».

Quando gli avvocati di Hjorth, a seguito della sentenza, chiedono e ottengono gli arresti domiciliari per il ragazzo, i media danno ampio spazio ai commenti negativi degli avvocati di parte civile, dei politici e della stessa Procura generale che fa ricorso contro i domiciliari sottolineando il rischio di fuga e la possibilità di reiterazione del reato (nonostante il passaporto del ragazzo sia stato ritirato, lui abbia accettato il braccialetto elettronico e i giudici con la nuova sentenza abbiano riqualificato il reato da doloso a colposo, quindi non sussiste più il pericolo che commetta un reato analogo a quello per cui è stato condannato). Vedremo come andrà a finire.

Dopo 5 anni e cinque gradi di giudizio, è emerso che i ragazzi non sapevano di avere di fronte due carabinieri. Aspettavano il pusher a cui avevano rubato lo zainetto, non due carabinieri. E questo cambia di molto la lettura dell’evento. Una persona è morta e chi ha sbagliato deve pagare, ma l’analisi dei fatti può portare a giudizi diversi in termini legali, mediatici e di reputazione. Limitarsi a riferire di volta in volta cosa dicono le parti non è più sufficiente per fare del giornalismo. La mancanza di giudizio critico non permette ai lettori di farsi una corretta opinione.

Questa storia mi ricorda un articolo di Valentina Stella dal titolo quanto mai attuale (“Le sentenze choc che non piacciono all’opinione pubblica”), secondo cui la giustizia non dovrebbe essere applicata in funzione di un sondaggio d’opinione, ma dopo un processo.

di Roberto Gazzini

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