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Nave Trieste

La nave “portaerei” Trieste

L’Italia ha una nuova ‘portaerei’. Ma nave “Trieste”, consegnata ufficialmente alla Marina militare lo scorso 7 dicembre, non era nata per esserlo

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La nave “portaerei” Trieste

L’Italia ha una nuova ‘portaerei’. Ma nave “Trieste”, consegnata ufficialmente alla Marina militare lo scorso 7 dicembre, non era nata per esserlo

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La nave “portaerei” Trieste

L’Italia ha una nuova ‘portaerei’. Ma nave “Trieste”, consegnata ufficialmente alla Marina militare lo scorso 7 dicembre, non era nata per esserlo

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L’Italia ha una nuova ‘portaerei’. Ma nave “Trieste”, consegnata ufficialmente alla Marina militare lo scorso 7 dicembre, non era nata per esserlo

L’Italia ha una nuova ‘portaerei’. Le virgolette non sono casuali: nave “Trieste”, consegnata ufficialmente alla Marina militare lo scorso 7 dicembre, non è in effetti classificata come aircraft carrier ma come landing helicopter dock (nave da sbarco anfibio portaelicotteri). Non è la prima volta che il nostro Paese chiama con nomi particolari un’unità navale studiata per le operazioni aeree. Nel 1983 il “Giuseppe Garibaldi” assunse la classificazione di “incrociatore portaeromobili”. L’Italia era ancora vincolata dal trattato di pace del 1947 e non poteva legalmente schierare portaerei.

Oggi è la definizione internazionale a essere corretta. Il “Trieste” non è una portaerei, non è nato per esserla. Il primo progetto risale al 2014, nell’ambito della cosiddetta Legge navale per l’ammodernamento della flotta. Erano anni in cui le difficoltà economiche rendevano le spese militari poco digeribili per la politica. E in cui non era ‘accettabile’ finanziare per un miliardo e 171 milioni di euro (il costo totale del “Trieste”, comprensivo di supporto decennale) una nave da guerra.

Alla Marina, impegnata nelle operazioni di soccorso davanti alla Libia, serviva una unità che aiutasse in questo compito. Il progetto originario venne così soprannominato “la salva migranti di Renzi”: una nave con bacino allagabile in cui raccogliere i barconi in avaria, dotata di ampi ambienti ospedalieri e molti posti letto. Da allora il concept è cambiato diverse volte. La dimensione è stata portata ai massimi dal dopoguerra (la nave è lunga 245 metri). Poi, con il “Garibaldi” a una decina d’anni dalla dismissione, serviva una nuova ipotetica portaerei ausiliaria da affiancare al “Cavour” e che mantenesse le capacità anfibie già previste. In una rincorsa alla modernità, le sue sovrastrutture si dividono in due, a imitazione delle nuove navi britanniche della classe Queen Elizabeth. Infine, dopo il varo, arrivò la rampa di decollo per i caccia.

In sostanza, il “Trieste” racchiude in sé tre diverse navi: una portaerei, un’unità da sbarco e un ospedale mobile. Una scelta al risparmio, per una nazione come l’Italia che non vuole e non può spendere troppo in armamenti. Ma con una precisa controindicazione: nessuno dei tre compiti sarà svolto al meglio. Perché fra hangar e ponte di volo possono essere imbarcati fino a 20 F-35, ma soltanto se a bordo non ci sono mezzi e truppe da sbarco. L’area ospedaliera può espandersi con dei container, ma a discapito delle capacità belliche.

In assetto standard, ovvero con il mantenimento di tutte le capacità, il “Trieste” è di fatto limitato in tutti i settori. Oggi non può nemmeno imbarcare i modernissimi F-35, poiché il ponte di volo non è ancora adeguato (sin da subito si prevedeva l’impiego di questi cacciabombardieri, viene da chiedersi perché non sia stato realizzato di conseguenza).

Nonostante tutto, il nuovo peso massimo della Marina resta un gioiello dell’industria italiana. Nel realizzarlo Fincantieri ha sviluppato al massimo livello le migliori competenze e tecnologie in circolazione. Le difficoltà progettuali e produttive, i ripensamenti e le incongruenze di questo progetto non sono altro che lo specchio dell’atteggiamento sbagliato che il nostro Paese continua ad avere nei confronti delle ‘cose militari’: spendere il meno possibile e pretendere di avere in cambio il massimo.

Vedremo se in un mutato contesto internazionale e con gli appelli pressoché quotidiani al realismo delle necessità della Difesa da parte del ministro Crosetto qualcosa cambierà negli anni a venire. Anche e soprattutto in un contesto di difesa integrata europea. Davanti a tutto questo, le aziende fanno ciò che possono e con risultati egregi. Possiamo solo immaginare cosa potrebbero realizzare con fondi, programmi e volontà politica adeguati ai tempi complessi che ci è dato in sorte di vivere.

di Umberto Cascone

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