Gianni Mion, ex amministratore delegato della holding della famiglia Benetton, si sta difendendo in un processo in cui è imputato. La legge gli riconosce il diritto di sostenere quel che crede. Quel diritto, a parte le questioni procedurali, deve essere riconosciuto da tutti. Quindi non commenteremo la sua strategia processuale.
Osserviamo, però, che se per difendersi afferma che i difetti strutturali del ponte gli erano stati comunicati nel 2010 (il ponte è crollato nel 2018) ma non ritenne di fare nulla perché temeva di perdere il posto, aggiungendo che la sua impressione era che nessuno effettuasse dei controlli, allora la sua difesa diventa un’accusa verso altri. Che sia per lui efficace o meno sono affari suoi, ma quelle parole sono affari di tutti.
Significano infatti che il compito assegnato all’amministratore non era quello di salvaguardare anche la sicurezza, ma solo gli incassi. Lasciamo perdere che la legge non prevede e non consente una tale deresponsabilizzazione in capo al capo di una amministrazione societaria (questo ha a che vedere con il processo), ma la famiglia Benetton dovrà pur dire qualche cosa. Forse avviare un’azione diretta e specifica contro l’ex ad. Altrimenti c’è complicità in una tale negligenza.
In quanto ai controlli, spettano alla pubblica amministrazione, facendo capo al Ministero dei Trasporti. In quel Ministero, negli anni, sono passati esponenti di diversi partiti e schieramenti. Non basta dire «Non era di mia competenza».
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