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Manolo Portanova condannato a sei anni

Manolo Portanova condannato a sei anni

Manolo Portanova, giocatore del Genoa, condannato a sei anni con rito abbreviato per stupro. Ma c’è anche un altro tribunale a cui dar conto
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Manolo Portanova condannato a sei anni

Manolo Portanova, giocatore del Genoa, condannato a sei anni con rito abbreviato per stupro. Ma c’è anche un altro tribunale a cui dar conto
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Manolo Portanova condannato a sei anni

Manolo Portanova, giocatore del Genoa, condannato a sei anni con rito abbreviato per stupro. Ma c’è anche un altro tribunale a cui dar conto
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Manolo Portanova, giocatore del Genoa, condannato a sei anni con rito abbreviato per stupro. Ma c’è anche un altro tribunale a cui dar conto
Partiamo da un presupposto: gli unici deputati a emettere sentenze sono i giudici. In questo caso, Manolo Portanova, giocatore del Genoa, è stato condannato per stupro a sei anni col rito abbreviato. E nelle motivazioni il giudice ha scritto che “il dissenso della ragazza è stato manifestato in maniera inequivocabile”. Qui quindi una sentenza c’è. Ma tante sentenze sono state pronunciate, prima di quella dei giudici. Dal mondo dei social, dall’opinione pubblica. E se una ragazza che denuncia uno stupro arriva a scrivere “Ho desiderato spegnermi”, c’è da fermarsi a riflettere. La ragazza in questione è quella che sarebbe stata violentata dal calciatore. E in una lettera a La Nazione racconta il suo, di calvario. Quello di chi non viene creduto, di chi si sente dire di aver puntato il dito contro un calciatore per cercare una qualche notorietà. Mai ottenuta peraltro, visto che giustamente la sua identità non è mai stata svelata. Scrive ancora: “Se solo sapeste quanto sia stato difficile per me riuscire anche solo a denunciare. Denunciare una violenza sessuale significa dover affrontare anni di svalutazioni, di insulti, anni in cui c’è chi ha provato a dire che era un gioco e che ero d’accordo”. Sì, perché spesso succede anche questo. Che le vittime, chi denuncia, soprattutto se di mezzo c’è un nome noto, viene accusato di voler cercare di lucrare. È successo, per carità. E siamo uno stato garantista. Ma non si può essere garantisti al punto che le vittime finiscano per trovarsi a essere accusate, invece che tutelate. Eppure accade. Accade ancora. È il motivo per il quale, denunciare, è ancora difficile. E negarlo significa essere ipocriti. Nessun innocente deve essere condannato per qualcosa che non ha commesso. Ma ancora di più nessuna donna che ha subito violenza deve essere trattata come una approfittatrice, o peggio come una che se l’è andata a cercare. Una violenza è una violenza. Sempre. A prescindere dal cognome che porta chi la compie. di Annalisa Grandi

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